Finanza pubblica: «che fine ha fatto la revisione della spesa pubblica?»

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decisione taglio spesa pubblica
La domanda se la pone Unimpresa a fronte del continuo aumento di spesa dell’amministrazione centrale dello Stato a fronte dei cali delle amministrazioni locali

 

decisione taglio spesa pubblicaI tagli della spesa pubblica, chi li ha visti, specie nell’amministrazione centrale dello Stato? Il Centro studi di Unimpresa si è messa a fare due conti, evidenziando come se sindaci e governatori negli ultimi anni hanno avuto un comportamento virtuoso, viceversa lo Stato centrale rimane sprecone, con un tasso di crescita della spesa pubblica (e di pari passo del debito pubblico) cresciuto negli ultimi deu anni del Governo Renzi. 

Mentre cala il debito di comuni e regioni italiani (-15 miliardi), cresce la voragine nei conti pubblici statali (+100 miliardi) grazie all’aumento incontrollato delle spese salite del 4%. Negli ultimi due anni il rosso degli enti locali italiani è diminuito di oltre 15 miliardi di euro (-14%) e nello stesso arco temporale il debito delle amministrazioni centrali è salito di quasi 100 miliardi (+5%). Da aprile 2014 a marzo 2016, il debito delle amministrazioni territoriali è passato da 107 miliardi a 92 miliardi, con una riduzione generalizzata che ha interessato sia i comuni (-3 miliardi) sia le province (-643 milioni) sia le regioni (-7,9 miliardi); il debito dello Stato è aumentato da 2.039 miliardi a 2.136 miliardi. 

Non solo: secondo il Centro studi di Unimpresa è cresciuto pure il debito pubblico dello Stato di ben 81 miliardi di euro, attestandosi a 2.228 miliardi, rispetto ai 2.147 di due anni fa. A pesare sul debito dello Stato sono soprattutto gli stipendi dei dipendenti delle amministrazioni centrali e costi del funzionamento dell’apparato statale, in crescita permanente: negli ultimi 5 anni la spesa della pubblica amministrazione centrale è cresciuta di oltre 14 miliardi; dal 2009 al 2014, le uscite a carico del bilancio pubblico relative alla macchina statale sono passate da 315 miliardi a 329 miliardi in aumento di oltre il 4%. 

Secondo lo studio dell’associazione, basato su dati della Banca d’Italia, il totale del debito delle amministrazioni locali – ovvero comuni, province e regioni – è passato da 107,6 miliardi di aprile 2014 a 92,01 miliardi di marzo 2016 in discesa di 15,5 miliardi (-14,48%). Un risultato generato anche dall’incremento della tassazione locale causata dai minori trasferimenti dallo Stato alle amministrazioni locali. Il debito dello Stato centrale è aumentato, invece, di 96,6 miliardi (+4,74%) passando da 2.039,4 miliardi a 2.136,1 miliardi. Il totale del debito delle amministrazioni pubbliche (enti locali e Pa centrale) ha beneficiato del miglioramento della finanza pubblica a libello territoriale ed è aumentato di 81,05 miliardi (+3,78%) da 2.147,06 miliardi a 2.228,1 miliardi. 

Nel dettaglio, a livello territoriale il debito è sceso in tutte le zone del Paese: nel NordOvest è passato da 30,7 miliardi a 27,3 miliardi in calo di 3,4 miliardi (-11,13%); nel NordEst è passato da 15,4 miliardi a 12,5 miliardi in calo di 2,8 miliardi (-18,46%); nel Centro è passato da 28,3 miliardi a 23,6 miliardi in calo di 4,6 miliardi (-16,57%); al Sud è passato da 22,9 miliardi a 19,9 miliardi in calo di 2,9 miliardi (-13,00%); nelle Isole è passato da 10,2 miliardi a 8,5 miliardi in calo di 1,6 miliardi (-16,14%). La diminuzione ha interessato sia i comuni sia le province sia le regioni: per quanto riguarda i comuni è stata registrata una contrazione di 3,4 miliardi (-7,41%) da 46,07 miliardi a 42,6 miliardi; il debito delle province è invece diminuito di 643 milioni (-7,63%) da 8,4 miliardi a 7,7 miliardi; il “rosso” delle regioni (categoria che comprende anche le province autonome di Trento e Bolzano) è sceso di 7,9 miliardi (-20,71%) da 38,5 miliardi a 30,5 miliardi.

Le spese della pubblica amministrazione, nel dettaglio, sono passate dai 315,2 miliardi del 2009 ai 329,5 miliardi del 2014, in crescita del 4,53%. Si tratta, in particolare, dei costi del personale delle amministrazioni centrali e dei costi di gestione dell’intera macchina statale. Sul totale dei 329,5 miliardi, 88,9 miliardi corrispondono alla voce relazioni finanziarie con le autonomie territoriali; 70,9 miliardi alle politiche previdenziali; 40,9 miliardi all’istruzione scolastica; 32,7 miliardi alle politiche sociali e alla famiglia; 18,1 miliardi alla difesa e sicurezza del territorio; 8,4 miliardi alle politiche economico-finanziarie e di bilancio; 7,9 miliardi all’ordine pubblico e alla sicurezza; 6,1 miliardi alle spese per organismi in Europa e nel mondo; 6,9 miliardi all’istruzione universitaria; il totale delle uscite a carico del bilancio pubblico sono passate dai 649,3 miliardi del 2009 ia 732,1 miliardi del 2014, in crescita del 12,76%.

«Che fine ha fatto la revisione della spesa pubblica sulle amministrazioni centrali?» si domanda il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi, secondo cui «i dati sono utili per riflettere sugli indispensabili tagli alla spesa pubblica. Negli ultimi anni si è spesso puntato il dito contro le autonomie locali, sostenendo che i disastri della finanza pubblica siano cagionati dalla periferia e non dalle amministrazioni centrali. Invece, è evidente – sottolinea Longobardi – come proprio a livello territoriale si registra una gestione virtuosa del debito, ridottosi a tutti i livelli nelle regioni, nelle province e nei comuni». Secondo Longobardi «se il governo intende intervenire sulla spesa pubblica deve aggredire i conti dei ministeri e degli apparati centrali che erano stato oggetto di una dettagliata analisi da parte della commissione sulla “spending review” coordinata da Carlo Cottarelli, poi affidata a Yoram Gutgeld, ma senza risultati concreti».