Allarme dei consumatori sull’involuzione del mercato. A rischio anche la tenuta dei conti pubblici
Torna la deflazione in Italia a febbraio. Secondo i dati provvisori Istat sull’inflazione, i prezzi al consumo sono calati dello 0,3% su base annua, dopo il +0,3% del mese precedente. Si tratta del calo maggiore da gennaio 2015. A febbraio i prezzi mostrano una flessione dello 0,2% su gennaio.
«La forte flessione tendenziale dei prezzi al consumo – spiega l’Istat – è dovuta a una dinamica congiunturale caratterizzata da cali dei prezzi diffusi a quasi tutte le tipologie di prodotto, che si confronta con quella positiva di febbraio 2015 quando, invece, tutte le tipologie di prodotto segnarono una ripresa dei prezzi rispetto al mese precedente».
Pur indebolendosi, al netto degli alimentari non lavorati e dei beni energetici, la cosiddetta “inflazione di fondo” rimane positiva (+0,5%), così come quella al netto dei soli beni energetici (+0,3%; entrambe erano a +0,8% a gennaio). Le componenti merceologiche che contribuiscono in misura maggiore a determinare questo quadro sono i beni energetici non regolamentati (che accentuano la flessione tendenziale da -5,9% di gennaio a -8,4% di febbraio), gli alimentari non lavorati (-1,2%, da +0,6% di gennaio) e i servizi relativi ai trasporti (-0,7%, da +0,5% del mese precedente). Il calo mensile dell’indice generale è determinato da quasi tutte le tipologie di prodotto ma, soprattutto, dalla diminuzione dei prezzi dei beni energetici non regolamentati (-2,2%).
L’inflazione acquisita per il 2016 è pari a -0,6%. Rispetto a febbraio 2015, i prezzi dei beni diminuiscono dello 0,8% (la variazione era -0,1% a gennaio) e il tasso di crescita dei prezzi dei servizi rallenta (+0,5%, da +0,7% del mese precedente). Di conseguenza, rispetto a gennaio 2016, il differenziale inflazionistico tra servizi e beni si amplia di cinque decimi di punto percentuale. Secondo le stime preliminari, l’indice armonizzato dei prezzi al consumo (Ipca) diminuisce dello 0,4% su base mensile e dello 0,2% su base annua (da +0,4% di gennaio). La flessione congiunturale è da ascrivere anche ai saldi invernali dell’abbigliamento e calzature, di cui l’indice Nic non tiene conto.
Anche i Paesi della zona Euro presi nel loro complesso hanno registrato nello stesso mese un calo dei prezzi al consumo. Una situazione che aggiunge pressione sulla banca centrale europea che nella sua prossima riunione nel direttivo dovrebbe varare un rafforzamento del “Quantitative Easing”, lo schema di acquisto di titoli pubblici mirato a immettere nuova liquidità sul mercato proprio allo scopo di riportare i prezzi perso l’obiettivo d’incremento annuo prossimo al 2%.
Quali sono gli svantaggi di un’economia in deflazione? Ecco i 5 principali:
1) calo dei consumi: i consumatori, sapendo che i prezzi caleranno ancora in futuro, potrebbero ritardare i loro acquisti per spuntare prezzi migliori, contribuendo così a un ulteriore peggioramento della domanda;
2) aumento dei debiti: quando i prezzi calano, il valore reale dei debiti in capo alle famiglie, alle imprese e allo Stato aumenta e ciò può contribuire a ulteriori cali della domanda;
3) il costo reale dei finanziamenti aumenta: se i tassi d’interesse nominali non calano in linea con la diminuzione dei prezzi, i tassi d’interesse reali salgono. Anche questo fattore contribuisce a far diminuire la domanda aggregata nelle componenti dei consumi delle famiglie e di quelli delle imprese, vale a dire degli investimenti;
4) calano i margini di profitto delle aziende: i margini di profitto delle aziende entrano sotto pressione e calano, a meno che i loro costi non calino di più della diminuzione dei prezzi.
E questo può portare a maggior disoccupazione legata proprio a tale taglio dei costi;
5) cala la fiducia dei consumatori: prezzi delle attività in calo, come una deflazione nel mercato immobiliare, possono intaccare la ricchezza personale e la fiducia dei consumatori, portando a un incremento dei risparmi precauzionali e, dunque, a ulteriori cali dei consumi che deprimeranno ancor di più i prezzi.
Per il Codacons il ritorno della deflazione è un pessimo segnale per il paese per l’economia nazionale. «Una bruttissima notizia quella sulla deflazione perché è il sintomo più evidente che qualcosa non sta funzionando in Italia e che la tanto attesa ripresa economica stenta a decollare – spiega il presidente Carlo Rienzi -. Avevamo previsto la possibilità di un ritorno al tasso di inflazione negativo in assenza di misure specifiche, e puntualmente i nostri timori si sono avverati. I numeri dell’Istat dimostrano come sia più che mai urgente quanto il Codacons chiede da mesi: una terapia d’urto che spinga i consumi incentivando gli acquisti e la domanda interna, così da rimettere in modo l’economia e portare a una ripresa dei listini al dettaglio».
Per Massimiliano Dona, segretario dell’Unione Nazionale Consumatori, «l’Italia torna in deflazione. Un dato che dimostra come la domanda non sia affatto decollata e la crisi sia tutt’altro che finita. Altro che ripresa dei consumi! Le cause di questa deflazione, ossia le famiglie ancora in difficoltà, dovrebbero preoccupare il Governo italiano e l’Unione Europea, e non solo Mario Draghi. Non bastano le politiche monetarie per rilanciare la domanda, ma anche politiche fiscali degne di nota. In ogni caso, gli effetti del calo dei prezzi sono positivi, dato che consentono di ridare capacità di spesa alle famiglie in difficoltà». Secondo Dona «per la prima volta scendono i prezzi del carrello della spesa, che passa da +0,9% di dicembre a +0,3% di gennaio a -0,4% di febbraio. In un solo mese i prezzi invertono la rotta di 0,7 punti percentuali su base annua. Una discesa, per non dire un crollo, che consente ad una coppia con due figli di risparmiare, in termini di minor del costo della vita, rispetto a gennaio, 54 euro su base annua. Per la sola spesa di tutti i giorni, una coppia con 1 figlio spenderà, invece, 50 euro in meno, un pensionato con più di 65 anni sborserà 27 euro in meno, -29 euro un single con meno di 35 anni, -40 euro una coppia senza figli con meno di 35 anni».
Secondo Coldiretti «a spingere la deflazione a febbraio è il calo dell’11% dei prezzi delle verdure che sta provocando effetti devastanti nelle campagne. «La riduzione dei prezzi al consumo – afferma Coldiretti – si amplifica nelle campagne dove i pomodori sono pagati agli agricoltori il 60% in meno rispetto allo scorso anno, il grano duro il 30% in meno e le arance hanno subito un taglio delle quotazioni del 21% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. L’effetto congiunto dell’andamento climatico anomalo, le speculazioni e distorsioni lungo la filiera hanno allargato la forbice dei prezzi dal campo alla tavola. La situazione dei prezzi in campagna – prosegue Coldiretti – sta assumendo toni drammatici anche per gli allevamenti con le quotazioni per i maiali nazionali destinati ai circuiti a denominazione di origine (Dop) che sono scesi ben al disotto della linea di 1,25 euro al chilo che copre appena i costi della razione alimentare. Cosi come i bovini da carne che sono pagati su valori che si riscontravano 20 anni fa, per non parlare del prezzo del latte che con il venir meno degli accordi da marzo sarà ancora in balia delle inique offerte dell’industria. Un comportamento – conclude Coldiretti – reso possibile dai ritardi nella legislazione comunitaria e nazionale che non obbliga ad indicare la provenienza del grano utilizzato in etichetta, una etichetta che è anonima anche per i formaggi e i salumi».
Secondo l’Ufficio studi di Confcommercio, «il rischio di deflazione resta moderato. Sotto il profilo del contributo dell’inflazione alla dinamica delle variabili nominali rilevanti per i saldi di finanza pubblica, emerge, invece, qualche criticità. Senza un’improbabile e brusca inversione, difficilmente si tornerà prima della prossima estate a tassi di variazione positivi dei prezzi al consumo su base annua e, quindi, diventa già difficile ipotizzare un’inflazione per il 2016 attorno al mezzo punto percentuale. Prima di tornare su valori superiori all’1% bisognerà attendere il 2017».