Lo spettacolo svolge un tema irrequieto: cosa farebbe oggi Gesù se scendesse sulla Terra?
Di Giovanni Greto
Ascanio Celestini domenica 14 febbraio (ore 21.15) porta al Teatro Corso di Mestre il suo nuovo, attesissimo spettacolo, “Laika”, che azzarda un tema irrequieto: come sarebbe, cosa farebbe e cosa penserebbe Gesù se tornasse sulla Terra? Un Gesù improbabile che dice di essere stato mandato molte volte nel mondo si confronta coi propri dubbi e le proprie paure.
Vive chiuso in un appartamento di un’imprecisata periferia. Dalla sua finestra si vede il parcheggio di un supermercato e il barbone che di giorno chiede l’elemosina e di notte dorme tra i cartoni.
Con Cristo c’è Pietro che passa gran parte del tempo fuori di casa ad operare concretamente nel mondo: fa la spesa, compra pezzi di ricambio per riparare lo scaldabagno, si arrangia a fare piccoli lavori saltuari per guadagnare qualcosa. Questa volta Cristo non si è incarnato per redimere l’umanità, ma solo per osservarla. Però Dio l’ha fatto nascere cieco e gli ha messo accanto uno dei dodici apostoli come sostegno. Il vero nome di Pietro è Simone.
La radice ebraica shama significa ascoltare. Simon Pietro è dunque colui che ascolta. È anche un uomo del popolo che non capisce bene ciò che gli sta accadendo, è spesso affrettato nelle reazioni. I Vangeli lo mostrano quando corre verso Cristo che cammina sulle acque per poi finire tra le onde. Ma è anche il più materiale, perciò è chiamato Kefa, che in aramaico significa pietra: è lui che paga il tributo, lui che rinnega tre volte, lui che darà vita alla Chiesa.
Nell’appartamento questo Cristo contemporaneo non vuole che entri nessun altro, ma è interessato a ciò che accade fuori. Soprattutto vuole sapere del barbone, non per salvarlo dalla sua povertà, ma per fargliela vivere allegramente. Come se il mondo fosse il parcheggio davanti alla sua finestra. Il mondo in mille metri quadrati di asfalto osservati da un paradiso-monolocale pochi metri al di sopra. Il barbone è un nordafricano scappato dal proprio paese. La sua voce è registrata. E’ la voce di un vero emigrante arrivato in Italia su un barcone.
Ma anche la voce di Pietro è registrata. E’ la voce di una donna, dell’attrice Alba Rohrwacher.
Anche la scena è scarna e senza gli oggetti che ci si aspetta di vedere in un appartamento. La cecità del personaggio è resa anche attraverso una realtà che giunge sulla scena attraverso i suoni, ma non si materializza in maniera naturalista. La scelta della cecità è legata all’immagine ancestrale del cieco che acquista la vera vista perdendola. È Edipo, ma anche il personaggio di Carver in Cattedrale. È anche la cecità psichica che secondo William James “consiste non tanto nell’insensibilità alle impressioni ottiche, quanto nell’incapacità di comprenderle”.
Insomma, non il Cristo che è vero Dio e vero uomo, ma un essere umanissimo fatto di carne, sangue e parole. Si tratta davvero del figlio di Dio o è uno schizofrenico che crede di esserlo? Ma se il creatore si incarnasse per redimere gli uomini condividendo la loro umanità e dunque anche il dolore, questa incarnazione moderna non potrebbe non includere anche le paure e i dubbi del tempo presente.
A distanza di un paio di millenni rivivono le incertezze del cristianesimo delle origini, frutto dell’ebraismo e seme dell’islam. «Queste incertezze vorrei – dice l’autore – che passassero in maniera obbligatoriamente grottesca e ironica nel personaggio che porterò in scena: un povero Cristo che può agire nel mondo solo come essere umano tra gli esseri umani. Uno che sente la responsabilità, ma anche il peso di essere solo sul cuor della terra».
Accompagnato dalla fisarmonica di Gianluca Casadei, capace di evocare atmosfere popolari e raffinate, con la sua carica di energia scenica, Celestini narra di come il crollo delle ideologie stia erodendo anche le religioni, osservandole attraverso gli occhi senza vista di un povero Cristo, solo nel cuore della Terra.