La sonata per pianoforte di Dukas, composizioni per chitarra e le composizioni di Charles Koechlin protagonisti degli ultimi tre eventi
Di Giovanni Greto
Nell’attesa del festival primaverile (9 aprile – 15 maggio) dedicato a Benjamin Godard (1849 – 1895), enfant prodige del violino, pianista virtuoso ed eccellente autore di melodie che ottennero un notevole successo nei salotti parigini, il Palazzetto Bru Zane sta proponendo una serie di interessanti concerti.
Il primo, in occasione del 150° anniversario dalla nascita di Paul Dukas, ha avuto il merito di far conoscere un giovane pianista francese, David Violi, dal tocco limpido e dalla tecnica indiscutibile. Dalla raccolta “Poèmes Sylvestres” di Théodore Dubois (1837-1924), Violi ha eseguito il numero 5, “La Source enchantéè” e il numero 4, “Le banc de mousse”, composti in un momento in cui la ricerca di nuovi colori armonici stava diventando la preoccupazione maggiore dell’avanguardia francese. La frivolezza e la spensieratezza della Belle Epoque, è invece emersa nell’esecuzione di “Pippermint-Get” di Marie-Joseph-Alexandre Déodat de Séverac (1872-1921), la cui musica, ispirata alla sua regione natale (Languedoc), guarda al folklore delle province francesi, unico modo, secondo l’autore, per sfuggire all’influsso germanico. Il brano, sottotitolato “valzer brillante da concerto”, per pianoforte solo, scritto nel 1907, richiama sia la produzione pianistica di Benjamin Godard, sia le musiche composte per i primi film comici muti (ad esempio quelli di Max Linder).
Ma l’attesa in sala era tutta per la “Sonata per pianoforte in mi bemolle minore” di Paul Dukas (1865-1935). Ultima grande sonata per pianoforte, di un secolo in cui tale genere rimase ai margini, per lo meno in Francia, composta nel 1899-1900, essa sintetizza gli apporti del Romanticismo. Notevole nelle dimensioni (quattro movimenti, per una durata che sfiora i 45 minuti), impiega tonalità poco frequenti e ricche di alterazioni, è innovativa dal punto di vista dell’armonia e richiede una capacità virtuosistica fuori del normale, in particolare nel terzo movimento, con una scrittura frenetica a mani alternate nelle zone estreme della tastiera. Violi ha superato ogni insidia, non dimostrando nessun affaticamento nell’interpretare uno spartito così impegnativo.
Il secondo appuntamento ha avuto come protagonista la chitarra, uno strumento colpevolmente trascurato nei cartelloni classici. A suonarla è stato invitato uno dei più importanti chitarristi della sua generazione, il napoletano Luigi Attademo, classe 1972, che vanta nel suo curriculum di incisioni le sonate di Domenico Scarlatti, le opere inedite ritrovate dell’Archivio Segovia, i quintetti di Luigi Boccherini. Ha eseguito un repertorio di autori non soltanto francesi, caro alle classi medie e popolari del XIX secolo, durante il quale la chitarra occupava il posto del pianoforte nei salotti aristocratici e borghesi.
Il concerto si è aperto e si è chiuso con due composizioni del catalano Fernando Sor (1778-1839). La prima, la “Fantasie élegiaque op.59”, di ampie dimensioni (dura più di un quarto d’ora), diversamente da altre fantasie romantiche, non è destinata a dare risalto al virtuosismo dell’interprete. E’ dedicata alla memoria di Madame Beslay, figlia di un ufficiale di Napoleone I, morta di parto il 20 aprile 1835, la quale aveva preso lezioni di chitarra da Sor. La seconda, eseguita, visti i consensi, come applaudito bis, proponeva l’introduzione e le variazioni sull’aria “O cara armonia”, op.9, dal “Don Giovanni” di Mozart. Tra di loro, Attademo ha inserito la “Grande Sonata per chitarra op.12” di Antoine de Lhoyer (1768-1852), nella quale l’autore nell’Andante con variazione, ha proposto un’aria alla moda: la canzone tirolese “A Schusserl und a Reindl”; “Recuerdo” e “Fantaisie n. 5 op. 12” di François de Fossa (1775-1849), il quale, esiliato in Spagna dalla Rivoluzione francese, adottò lo stile chitarristico al gusto francese; “Au clair de la lune” da “Les Voitures verste”, variazione per chitarra o lira op. 7, è invece un motivo molto popolare nel XIX secolo, del fiorentino Matteo Carcassi (1792-1853). Si tratta di una canzone anonima settecentesca, che ha come protagonista Pierrot, personaggio della Commedia dell’Arte che ispirò poeti, pittori e musicisti.
Il terzo appuntamento, “Koechlin intimista”, ha portato alla luce Charles Koechlin (1867-1950), nato da una famiglia d’industriali alsaziani, il quale entrò nel Conservatorio di Parigi nel 1890, rinunciando a malincuore ad una carriera militare, poiché affetto da tubercolosi. Due i protagonisti della serata: il pianista Maurizio Baglini e la violoncellista Silvia Chiesa. Il primo, assai contento di presentare in lingua francese brano dopo brano, ha eseguito in solitudine alcune delle “Heures persanes”, op. 65 (la n. 2, la n. 7 e la n. 15), che attestano l’interesse del compositore per l’oriente e la convinzione che il mondo arabo avesse influenzato la produzione musicale europea. E ancora, tre “Paysages et Marines”, op. 63, un ciclo di composizioni risalente al 1915-1916, che esplora la politonalità.
I due musicisti hanno suonato assieme alcune “Chansons bretonnes pour violoncelle et piano”, op. 115, frutto dell’interesse di Koechlin per la modalità e il canto popolari e, infine, la difficilissima “Sonata per violoncello e pianoforte n. 1”, op.66. Perfettamente in sintonia, il duo ha riscosso calorosi applausi, consentendo un ampliamento della serata grazie a due bis: il finale della “Prima Sonata per pianoforte e violoncello di Saint-Saens, che ricorda la tarantella napoletana e il terzo movimento da una Sonata di Chopin.
Il Centre de musique romantique française tornerà a far parlare di sé il 4 febbraio, giovedì grasso, con “C’era una volta”, uno spettacolo lirico sulle fiabe all’epoca romantica con arie e duetti di Massenet, Offenbach, Isouard, Chausson, Silver, Serpette, Lecocq, Viardot, che si terrà nella scuola grande di San Giovanni Evangelista e avrà per protagonisti il “Quatuor Giardini”, la soprano Jodie Devos e la mezzosoprano Caroline Meng.