Nicoli: «doveroso l’utilizzo di strumenti innovativi per recuperare il gap competitivo con gli altri Paesi»
«L’apertura del ministro all’agricoltura Maurizio Martina alle biotecnologie è in linea con quello che abbiamo sempre sostenuto: la ricerca e l’innovazione genetica in agricoltura devono essere viste come una soluzione alle sfide globali, non come un problema» afferma Lorenzo Nicoli, presidente di Confagricoltura Veneto, che plaude ai 21 milioni di euro stanziati nella legge di Stabilità 2016 per un progetto pubblico triennale che sarà gestito dal Crea, il Centro di ricerca specializzato del ministero delle politiche agricole, che punta al miglioramento genetico attraverso biotecnologie sostenibili.
«La posizione del ministro sul tema è in linea con quello che Confagricoltura Veneto ha sostenuto con forza sia in occasione del convegno da noi organizzato a Expo dal titolo “Geni italiani” – sottolinea Nicoli -, sia in quello regionale di novembre a Padova in cui intervennero scienziati e ricercatori, dove si puntò il dito contro il grave deficit competitivo dell’agricoltura italiana auspicando una via italiana del miglioramento genetico. Il ministro Martina ora dichiara che è necessario investire sulle migliori biotecnologie per tutelare le nostre produzioni principali. Siamo contenti di questa apertura, che può finalmente condurre al superamento dei blocchi contrapposti dei pro o contro gli Ogm, uscendo dalle secche in cui rischiavamo di restare impantanati. Innovativi strumenti, come il “genome editing” e la cisgenesi, possono consentire un miglioramento genetico senza alterare le caratterizzazioni produttive del sistema italiano».
Nicoli ricorda che l’Italia ha una grande tradizione nel miglioramento genetico delle piante agrarie, che ci ha permesso di compiere enormi passi in avanti: «negli ultimi 50 anni siamo passati da antiche varietà locali a popolazioni più omogenee e produttive, con incroci tra linee parentali. È il caso dei radicchi veneti, oggi più produttivi del 25% e migliorati qualitativamente: la dimostrazione che le nuove tecnologie sono in grado di valorizzare le antiche varietà locali. Emblematico il lavoro effettuato dall’Università di Udine, che ha portato a sviluppare dieci nuove varietà di viti da vino resistenti a peronospera e oidio. Con le nuove tecnologie di miglioramento genetico si potrebbero ottenere risultati simili in tempi brevi, mantenendo immutate le varietà tradizionali».
Gli agricoltori italiani acquistano l’87% dei loro mangimi, spendendo ogni anno 800 milioni di euro per importare dall’estero Ogm. In Italia è vietata, infatti, la coltivazione di piante geneticamente modificate, così come la loro sperimentazione in campo. In aumento le importazioni da Sudamerica, Ucraina, ma anche da Francia e Spagna. Le rese produttive sono molto più basse rispetto ai produttori che possono utilizzate sementi Ogm. «E’ facile comprendere che in questo mercato libero e globale, in cui si compete con mezzi diversi, le nostre produzioni non possono difendersi – conclude Nicoli -. E’ d’obbligo un cambio di marcia o soccomberemo».