Queste alcune delle domande a cui hanno cercato di dare una risposta ai giovani diplomati il presidente della Provincia Arno Kompatscher, il suo predecessore Luis Durnwalder
Nella Giornata dell’autonomia lo scorso 5 settembre, in occasione della premiazione dei neodiplomati con il massimo dei voti, il presidente Arno Kompatscher aveva preannunciato un momento di festa e di discussione con i giovani dedicato al futuro dell’autonomia.
L’occasione si è presentata presso la sede della Libera Università di Bolzano (LUB), nel corso di un dibattito nel quale il presidente della provincia di Bolzano Arno Kompatscher è stato “spalleggiato” dal suo predecessore Luis Durnwalder. Cos’è l’autonomia? Questa la domanda che ha rappresentato il filo conduttore del confronto, che ha preso il via dalle conquiste portate a termine nei decenni passati e dal concetto di libertà.
«Le vecchie generazioni – ha spiegato Durnwalder – non hanno avuto la libertà di scelta di oggi per quanto riguarda lo studio e la professione. Abbiamo perso tanti cervelli proprio per questo, ma ora grazie alle trattative lungo l’asse Roma-Bolzano, abbiamo ben 137 competenze da amministrare: possiamo decidere sul nostro futuro per quanto riguarda l’economia, l’ambiente, il lavoro e la cultura, e siamo in grado di guardare con coraggio all’Europa». «Ritengo che sia sempre giusto e necessario ricordare qual’era la situazione prima dell’autonomia – ha aggiunto Kompatscher – e quanto l’autonomia sia diventata uno strumento concreto non solo per una pacifica convivenza tra i gruppi, ma anche per lo sviluppo economico e la crescita del nostro territorio».
Dai neo-diplomati sono giunte valutazioni più che positive sulla situazione altoatesina, anche se da più parti si chiede un ulteriore passo in avanti per quanto riguarda il plurilinguismo, in maniera particolare nelle scuole. «L’offerta scolastica plurilingue di fatto c’è già – ha commentato Kompatscher – si tratta solo di migliorarla e rafforzarla ulteriormente. Penso soprattutto agli scambi e alla possibilità di trascorrere un anno nella scuola dell’altro gruppo linguistico. Il nostro modello, però, non potrà essere quello della scuola mista, e non solo per una questione di radici e tradizioni, ma soprattutto perché eliminando le diversità che attualmente ci sono perderemo la nostra vera ricchezza».