“Dieselgate” da Volkswagen arrivano le prime risposte concrete

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Le soluzioni meno complicate del previsto. Intanto, si allarga lo scandalo delle emissioni anche al motore 3.0 V6 Tdi e ai propulsori di altre case

 

autoparco auto volkswagenSul caso “Dieselgate”, arrivano da Volkswagen le prime risposte concrete sul risanamento dei motori coinvolti nelle emissioni illegali dei motori diesel. La Kba (Motorizzazione tedesca) avrebbe approvato una proposta di modifica software in grado di rimettere in regola il 90% dei veicoli europei (in totale 8,5 milioni) coinvolti nello scandalo.

La notizia è stata ufficializzata da Matthias Müller nel corso di un incontro a Wolfsburg con i dirigenti del Gruppo provenienti da tutto il mondo. Secondo quanto annunciato da Müller, l’autorità federale per i trasporti avrebbe approvato l’aggiornamento elettronico per i 2.0 TDI e avallato in via preliminare un piano d’intervento rivolto alla soluzione del problema sui 1.6 TDI, mentre sono in corso di valutazione le azioni sui piccoli TDI 3 cilindri 1.2.

Secondo Müller, gli «interventi sono meno complicati del previsto» definendo «gestibili» i costi e la complessità delle soluzioni proposte: sul motore TDI 1.6, oltre all’aggiornamento elettronico della centralina, basterebbe un intervento «meno complicato del previsto» al filtro dell’aria. Il TDI 1.2 necessiterebbe «probabilmente» soltanto di un intervento software, che verrà sottoposto all’approvazione della Kba entro la fine di novembre. «Il timore di interventi sostanziali sui motori si è rivelato falso», ha commentato il dirigente. 

Secondo quanto reso noto da Volkswagen, l’ente federale tedesco ha approvato gli aggiornamenti proposti, dando di fatto il via libera alle operazioni: come detto, sul due litri sarà sufficiente aggiornare il software di gestione del motore, un intervento che secondo la Volkswagen sarà realizzabile in trenta minuti. Più complesso invece il lavoro richiesto per adeguare il TDI 1.6 alle normative vigenti: oltre all’aggiornamento software, ci sarà bisogno dell’aggiunta di nuovo componente: sarà installato il “flow transformer”, un piccolo filtro aggiuntivo all’ingresso del condotto, a valle dunque del filtro dell’aria e a monte del misuratore della massa d’aria. Questo “flow transformer”, come lo chiama il Costruttore, serve a ridurre la turbolenza del flusso di fronte al sensore, migliorando significativamente la precisione delle sue misurazioni. Quantificare correttamente la massa dell’aria addotta in camera di combustione è essenziale per garantire una corretta gestione elettronica dell’accensione della miscela aria-carburante. Volkswagen prevede che l’intervento in officina richiederà meno di un’ora.

Nella nota diffusa da Volkswagen si sottolinea come l’obiettivo è apportare le modifiche illustrate senza “effetti collaterali” sul fronte di prestazioni e consumi. Tuttavia, ammette la Casa, «questo obiettivo non può ancora essere confermato» dato che gli eventuali effetti sui modelli interessati vanno ancora verificati.

Wolfsburg ha confermato oggi i tempi previsti per l’avvio delle campagne di richiamo, che partiranno dal prossimo mese di gennaio: secondo le stime della Casa, che sta attualmente definendo nel dettaglio i modi e i tempi dei lavori presso la rete, le operazioni dovrebbero durare per tutto il 2016, per quanto riguarda i 28 Paesi membri dell’Unione Europea. Naturalmente, saranno le Case (VW, Audi, Seat, Skoda e VW Veicoli Commerciali) a contattare i proprietari dei veicoli interessati: fino a quel momento, gli automobilisti potranno continuare a usare regolarmente le auto.

Dall’Europa agli Usa, dove lo scandalo “Dieselgate” si allarga anche ai motori TDI 3.0 V6. L’Epa ha reso noto di aver ampliato i confini della sua indagine, partita da quel lotto di 482.000 vetture che hanno costituito il nucleo iniziale di uno scandalo presto diventato globale. Ora l’ente di Washington ha messo sotto la lente nuovi veicoli equipaggiati col 3.0 V6 TDI, già sospettati dai controllori Usa di adottare lo stesso, famigerato “defeat device” individuato sui 2.0 TDI EA 189.

I nuovi test, condotti in collaborazione con il California Air Resources Board (che sin dall’inizio della vicenda ha affiancato l’agenzia federale), hanno nel mirino tutte le vetture dei marchi Volkswagen, Audi e Porsche equipaggiate con il TDI 3.0 V6 e appartenenti ai model year compresi tra il 2009 e il 2016: inizialmente, le attenzioni dell’Epa erano rivolte soltanto alle auto più recenti.

L’Audi ammette il coinvolgimento della vecchia Q7. L’arco temporale “esteso” dei modelli a rischio irregolarità sarebbe stato indicato dallo stesso Costruttore nel corso di un incontro con l’Epa tenuto giovedì scorso: all’appuntamento, tra l’altro, i rappresentanti dell’Audi avrebbero ammesso che «la stessa tecnologia» adottata sui model year 2013-2016 di A6, A7, A8 e Q5 (già oggetto di una sospensione delle vendite negli Usa), sarebbe presente anche sulla Q7 dei model year 2009-2012. Coinvolte anche 13.000 Porsche Cayenne.

Dopo aver smentito nel precedente incontro il coinvolgimento dei sei cilindri, Wolfsburg ha ammesso che un dispositivo di controllo del motore è stato ritenuto illegale dagli inquirenti. Tre erano gli elementi su cui si erano concentrate le ricerche: di questi, che la VW definiva “auxiliary emission control device” – regolari, a detta del Costruttore – uno è stato invece individuato come “defeat device”, dispositivo progettato per mascherare deliberatamente le emissioni in fase di omologazione. Jeri Ward, portavoce di Audi of America, ha specificato che il meccanismo di controllo, in grado di abbassare la temperatura degli scarichi, è illegale in America, ma non infrange la normativa europea.

Intanto lo scandalo delle emissioni illegali si allarga anche sul fronte fiscale. La procura della repubblica di Braunschweig ha aperto una indagine per presunta evasione fiscale. Come ha spiegato il procuratore di Braunschweig, Klaus Ziehe, «al momento ci sono cinque indagati che provengono dall’ambito del gruppo Volkswagen». Alla base dell’indagine il danno per il fisco legato alla manipolazione delle emissioni di CO2 delle vetture del gruppo tedesco, un elemento che in Germania è fondamentale nel calcolo della tassa di circolazione. Essendo le emissioni reali notevolmente più alte, è l’ipotesi su cui si basa l’indagine, esiste una forte discrepanza fra quanto dovuto e quanto incassato dal fisco. Quella fiscale è la seconda inchiesta aperta dalla procura di Braunschweig in merito alla falsificazione delle emissioni da parte dei veicoli del gruppo VW. E lo stesso potrebbe accadere a breve in Francia e Spagna, dove le vetture con emissioni inferiori a 100 g/km di CO2 hanno avuto facilitazioni fiscali all’immatricolazioni.

Parallelamente allo scandalo Volkswagen, prosegue l’azione dell’organizzazione non governativa ecologista Deutsche Umwelthilfe, alla ricerca di violazioni di altre case automobilistiche sulle emissioni di ossido d’azoto. E dopo aver coinvolto un mese fa la Opel, con la Zafira 1.6 CDTi, gli ecologisti mettono ora nel mirino la Renault: il nuovo modello Espace 1.6 dCi, un diesel, produrrebbe valori di emissioni da 13 a 25 volte superiori rispetto a quanto consentito dall’Euro 6. Come nel caso della Opel Zafira, anche per la Renault Espace gli ecologisti si sono rivolti ai tecnici dell’istituto parauniversitario di Berna, in Svizzera. Juergen Resch, direttore della Deutsche Umwelthilfe, ha spiegato che l’auto familiare francese ha mostrato valori nella norma quando è stata preparata per il test di prammatica ma «ogni deviazione del test, tipo la prova con motore caldo invece che freddo, ha prodotto valori di gas diesel mai misurati così alti». Interpellata da media tedeschi, la Renault non si è pronunciata sulle accuse degli attivisti tedeschi.