Allarme Oms su consumo di carni: Confartigianato, Coldiretti e Confagricoltura molto scettiche

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Rapporto agroalimentare Agricoltura Emilia Romagna salumi prosciutto di parma
Sartorato: «campagna denigratoria sospetta. Gli insaccati artigiani sicuri». Andretta: «le carni italiane sono sicure e molto diverse da quelle prodotte in altri paesi»

 

Agricoltura Emilia Romagna salumi prosciutto di parma«La campagna denigratoria sulla carne rossa e sulle carni lavorate lanciata dall’OMS “puzza di bruciato”. E’ troppo generalizzata ed ha una eco spropositata proprio qui in Italia dove rischia di penalizzare un filiera straordinaria che non ha eguali in Europa con un gravissimo danno economico, in Veneto in particolare, anche nell’artigianato». Così Ferdinando Sartorato, presidente della lavorazione carni di Confartigianato Imprese Veneto preoccupato per il falso allarme che mette a rischio un settore di nicchia che contribuisce in modo importante al patrimonio gastronomico-culturale italiano. 

«La trasformazione e lavorazione carni – spiega Sartorato – consta in Veneto di 202 laboratori artigiani che danno da lavorare ad oltre 2.000 addetti. Una rete di sapere che garantisce non solo la realizzazione dei prodotti a base di carne “doc”, ben 7 in Veneto su 40 specialità di salumi che hanno ottenuto la denominazione d’origine o l’indicazione geografica, ma anche la produzione delle 104 leccornie inserite nell’elenco dei Prodotti agroalimentari tradizionali (PAT sul sito del Mipaaf è disponibile l’elenco aggiornato) – sui 782 totali in Italia – legati alla carne. Un primato assoluto per il Veneto, si pensi che la Toscana è seconda con 81, che rischia realmente di venire penalizzato».  

Per Sartorato «l’indagine Oms sta creando un panico immotivato per quanto riguarda il nostro Paese, soprattutto se si considera che la qualità della carne italiana, dalla stalla allo scaffale, è diversa e migliore. E soprattutto i cibi sotto accusa come hot dog e bacon non fanno parte della tradizione nostrana. Nulla hanno infatti da spartire con le metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura di tipo “naturale” a base di sale garantite dalle lavorazioni dei laboratori artigiani. Da sempre sappiamo che a fare male sono gli additivi, se usati in modo esagerato. Ma sappiamo bene che in Italia e  soprattutto gli artigiani sono molto attenti su questo punto».

Secondo Sartorato ora «il vero rischio che corriamo è che i consumatori incorrano in paure ingiustificate che nel passato, per situazioni analoghe, hanno provocato senza ragione una psicosi nei consumi che è costata migliaia di posti di lavoro e miliardi di euro al sistema produttivo. I produttori di insaccati artigiani hanno da tempo investito volontariamente nella maggiore trasparenza dell’informazione possibile e nella rintracciabilità in etichetta. Due sistemi fondamentali per garantire i consumatori ed evitare la psicosi nei consumi. Questo nuovo falso allarme, conferma la necessità di accelerare nel percorso dell’obbligo di etichettatura d’origine per tutti gli alimenti, a partire dai salumi. E’ questa la vera battaglia che l’Italia deve fare in Europa».

«Gli allevamenti italiani sono molto controllati e danno garanzia di tracciabilità delle carni, carni che consiglio siano consumate preferibilmente fresche» afferma il presidente della Sezione economica di Confagricoltura Veneto, Luigi Andretta, secondo il quale «è da leggersi in modo corretto lo studio dell’Oms, nel quale le carni rosse sono state inserite nel gruppo 2A dove si segnala che c’è la correlazione tra l’eccessivo consumo delle carni rosse e l’insorgenza probabile di tumori al tratto intestinale». 

Per Andretta «lo studio indica il consumo di 100 grammi al giorno per la carne rossa e 50 grammi al giorno per quella trasformata come condizione per un aumento, comunque modesto, del rischio alimentare che è molto lontano a quello del nostro Paese. Infatti, gli italiani consumano 300 grammi di carne rossa in una settimana, ciò significa che i dati oggetto dello studio, prendono in esame un consumo doppio di quello nostro. Inoltre, le carni prese in esame – rileva – sono diverse da quelle italiane e venete perché diverse sono le razze, come diversa è l’alimentazione animale, i metodi di allevamento e l’età della macellazione che fanno sì che la nostra carne abbia caratteristiche nutrizionali e contenutistiche differenti come una percentuale di grasso molto inferiore». «Alcuni studi che sono stati compiuti, – precisa Andretta – dimostrano che le nostre carni hanno una composizione chimica dove il rapporto fra i grassi saturi e insaturi è migliore. Qualche allevamento utilizza nell’alimentazione dei bovini anche degli antiossidanti che aumentano considerevole la percentuale di Omega 3 nella carne. E’ importante che tutti noi ci nutriamo con alimenti differenziati in modo tale che anche tracce di sostanze potenzialmente nocive, presenti in tutti i cibi, non creino nessun problema alla salute». 

Secondo Andretta «è anche un problema di cultura: diversa è l’alimentazione americana, o di altri Paesi, dove si consumano quasi esclusivamente e giornalmente carni, come costate o hamburger ai ferri sempre molto grasse, un’altra è la cultura della Dieta Mediterranea dove la carne è presente in modo corretto e vario come con il lesso, lo spezzatino, l’arrosto, etc. che apportano nutrimenti importanti per una dieta equilibrata».

Sul tema interviene anche Coldiretti Veneto, secondo cui sulla carne rossa è stata lanciata una campagna a dir poco denigratoria nei confronti del lavoro degli imprenditori zootecnici e fuorviante per il consumatore italiano. L’allevamento di bovini da carne in Italia conta 5,7 milioni di capi e occupa 180.000 posti di lavoro. Le imprese zootecniche si concentrato tra Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia Romagna. La nostra regione rappresenta il 40% della produzione italiana, con oltre 6.000 stalle localizzate nelle province di Vicenza (1.604) Verona (1433) Treviso (1364) e Padova (1250). L’indagine Oms sul consumo della carne rossa «sta creando un panico immotivato per quanto riguarda il nostro Paese, soprattutto se si considera che la qualità della carne italiana, dalla stalla allo scaffale, è diversa e migliore e che i cibi sotto accusa come hot dog e bacon non fanno parte della tradizione nostrana. Le carni “Made in Italy” sono – sottolinea Coldiretti – più sane, perché magre, non trattate con ormoni, a differenza di quelle americane, e ottenute nel rispetto di rigidi disciplinari di produzione “Doc” che assicurano il benessere e la qualità dell’alimentazione degli animali. E per gli stessi salumi si segue una prassi di lavorazione di tipo “naturale” a base di sale.» 

Per Coldiretti «l’ennesimo falso allarme che non riguarda le nostre produzioni conferma la necessità di accelerare nel percorso dell’obbligo di etichettatura d’origine per tutti gli alimenti, a partire dai salumi. E’ questa la vera battaglia che l’Italia deve fare in Europa per garantire la salute dei suoi cittadini e il reddito delle sue imprese».