Oltre al Sud, problemi anche per l’Emilia Romagna. Principale responsabile l’eccessivo sfruttamento del suolo
Secondo il Centro Nazionale delle Ricerche (CNR), «il rischio desertificazione in Italia è molto grosso» a causa del degrado del suolo per l’eccessivo sfruttamento, per cui il 21% del territorio nazionale è in pericolo. I numeri salgono ad una media del 41% al Sud: in Sicilia le aree affette, cioè che potrebbero essere interessate da desertificazione, sono addirittura il 70%, in Puglia il 57%, nel Molise il 58, in Basilicata il 55, mentre in Sardegna, Marche, Emilia Romagna, Umbria, Abruzzo e Campania sono comprese tra il 30 e il 50%.
A fornire questo allarmante quadro della situazione è il molisano Mauro Centritto, direttore dell’Istituto per la valorizzazione del legno e delle specie arboree: «le immagini dicono tutto e una della Nasa mostra tutta la superficie terrestre dove si vedono le aree verdi, che sono quelle coperte dalle foreste e dall’agricoltura, e le aree marroni, che sono quelle desertiche e soggette al degrado. Se guardiamo l’Italia, ci sono delle grandi strisce di aree marroni. Dunque questa, considerato che sulla terra siamo arrivati a 7 miliardi di persone e che le previsioni dicono che entro il 2050 arriveremo a 10 miliardi, è una delle tematiche più scottanti, che dovremo affrontare nel prossimo futuro e all’Expo lo faremo con la comunità scientifica di riferimento».
Centritto poi sottolinea che «non bisogna assolutamente confondere il processo di desertificazione con i deserti: sono due cose differenti. La desertificazione, così come la definisce l’Onu, è il degrado del suolo, del terreno e della vegetazione causato dell’attività dell’uomo e dai cambiamenti climatici. Questi processi di degrado del suolo, che sono problemi tutt’altro che lontani, hanno dei riflessi molto forti anche sulla sicurezza alimentare. L’aumento della popolazione – ha aggiunto Centritto – soprattutto nei paesi in via di sviluppo, quelli più poveri, dove il ritmo di crescita della popolazione è superiore, hanno pressioni sull’ambiente molto forti perchè devono produrre di più. L’aumento di pressione fa sì che i terreni progressivamente cessino la loro attività e quindi c’è la necessità di convertire foreste in campi coltivati e si entra così in un circolo vizioso che porta al degrado. Tutto ciò – conclude – si pone poi in un contesto delicato di cambiamenti climatici».