L’obbligo dei comuni trentini di prevedere in Giunta la presenza femminile scatena la polemica

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Il sindaco di Cloz, Floretta: «le donne? Le preferisco nel letto». Reazioni all’insegna del politicamente corretto delle donne impegnate in politica

 

parità genere uomo donna simboloGaleotta fu la lingua del sindaco di Cloz, un paesino di circa 700 anime in alta Val di Non, regno della monocoltura frutticola della mela, che in merito all’obbligo di legge locale di formare le giunte comunali con almeno un terzo di presenza femminile, è scivolato sul politicamente scorretto.

Per una frase pronunciata «per scherzo, in mezzo ad una risata» giura il primo cittadino Natale Floretta, si è scatenato il finimondo politico, con la richiesta delle sue immediate dimissioni. E’ bastato un innocente e per molti ovvio (Elton John e soci ovviamente esclusi, of course) giudizio personale («le donne a me piacciono nel letto») profferito dal sindaco per fare venire giù il diluvio delle dichiarazioni piccate delle vestali del gentil sesso impegnate in politica. Chiara Avanzo, giovane presidente autonomista del Consiglio regionale, è tranciante: il sindaco Floretta «è un uomo che non merita una donna. Mi sento offesa a fronte di dichiarazioni sessiste che dimostrano come esista una sottocultura che crea discrimine». Per l’assessore PD all’università e ricerca scientifica della provincia di Trento e unica rappresentante del gentil sesso sopravvissuta in Giunta, Sara Ferrari, «il sindaco di Cloz ha infangato le donne e l’istituzione che rappresenta». La segretaria provinciale dell’Upt Donatella Conzatti commenta con un «affermazione da censurare senza possibilità di appello».

La querelle nasce dal fatto che la nuova legge elettorale per i comuni del Trentino Alto Adige prevede obbligatoriamente la presenza di genere all’interno della giunta, proporzionalmente alla sua consistenza in Consiglio comunale, con un arrotondamento per eccesso. Per una realtà come quella di Cloz, ciò avrebbe significato una giunta di quattro membri, composta da due uomini e due donne. Donne che, secondo il sindaco, non erano adatte per il disbrigo delle deleghe disponbili, tanto da costringerlo a rinunciare al quarto componente della giunta. In Alto Adige, due comuni hanno presentato ricorso al Tar, chiedendo di sollevare la questione d’incostituzionalità sulla norma in questione, che pone indubbie difficoltà agli amministratori locali nel rispettarla, specie nelle realtà più piccole, dove le gentili signore hanno poca voglia e tempo di impegnarsi per la cosa pubblica.

A dar man forte al sindaco Floretta interviene An-Fratelli d’Italia, secondo cui «la vicenda denota l’ottusità di imporre quote di genere in tutte le giunta comunali. Oggi un sindaco si trova nella condizione di non potere individuare liberamente i migliori da mettere al governo della comunità, ma deve selezionare a compartimenti stagni su base sessuale. Peccato che le stesse regole non valgano per la Provincia, dove l’assessora PD alla sanità, Donata Borgonovo Re, è stata dimissionata su due piedi e rimpiazzata con un uomo, riducendo così la presenza femminile in Giunta da due ad una sola».

La questione delle riserve di genere un argomento a doppio taglio: da una parte si vuole promuovere la partecipazione da parte di categorie sfavorite della comunità; dall’altro si rischia così di non valorizzare le effettive competenze, con il rischio di elevare a soglie di responsabilità anche coloro che sono palesemente inadatti se non incapaci al ruolo da ricoprire. Di esempi ne sono pieni tutte le cronache: troppo spesso, con gli steccati e le riserve si sono promossi emeriti incapaci, buoni solo a strillare più forti degli altri, magari proprio sull’altare di una presunta discriminazione, ma con capacità professionali e culturali non proporzionali alla loro prestazione garrula.