Intervista con il nuovo direttore a due mesi dall’insediamento, con bilanci, aspettative e proposte per il futuro del Museo di Arte moderna di Rovereto e Trento
Gianfranco Maraniello, nato a Napoli il 22 agosto 1971, figlio dell’artista partenopeo Giuseppe, apprezzato pittore e milanese di adozione, laurea in filosofia, già dovecnte alla Luiss di Roma e all’Accademia di Brera con all’attivo numerose esperienze al vertice di importanti realtà museali che si occupano di arte moderna (dal macro di Roma al Palazzo delle Papesse di Siena e al Mambo di Bologna a soli 34 anni), da poco più di due mesi è alla guida del Mart, il Museo d’Arte moderna di Rovereto e Trento che trova la sua sede nella Città della Quercia in un edificio maestoso, anch’esso un’opera d’arte architettonica frutto del genio del ticinese Mario Botta.
Di seguito l’intervista con il nuovo direttore che illustra che Mart ha trovato dopo la fugace azione di Giovanna Collu, con le prospettive per il futuro della struttura.
A due mesi dal suo arrivo al vertice del Mart di Rovereto, dopo i giudizi lusinghieri che ha formulato al suo insediamento, che primo bilancio può formulare?
Devo dire che quanto ho visto e trovato confermano l’idea iniziale che avevo del Mart, una realtà museale ben posizionata, con una struttura solida, importanti investimenti finanziari, disponibilità di risorse, un gruppo di collaboratori di alto livello, una collezione di opere d’arte molto importante tra proprietà e depositi. Il Mart ha confermato tutte le aspettative che avevo per lavorare in condizioni ideali. E questo lo dico dopo aver lavorato in altre tre importanti realtà museali come il Macro di Roma, il Palazzo delle Papesse di Siena, il Mambo di Bologna. Grandi musei ma tutti con un comune denominatore: essere delle realtà attive in un cantiere in corso di evoluzione con tutto quello che ne comporta lavorare in un contesto simile. Qui a Rovereto mi trovo per la prima volta in una struttura consolidata, in un edificio che è esso stesso una prestigiosa opera d’arte architettonica.
Tra i 128 aspiranti alla direzione del Mart e tra i 32 che sono passati alla selezione finale, quali crede che siano state le caratteristiche che hanno pesato maggiormente nella sua valutazione? Essere capace di fare una gestione multisettoriale dell’arte, le esperienze internazionali, l’aver portato un museo come il Mambo dove l’autofinanziamento ha toccato il 70% del suo bilancio, sapere l’inglese?
Non saprei come rispondere a questa domanda. Innanzitutto, non ho termini di paragone e non so chi abbia partecipato alla selezione e cosa abbiano proposto gli altri candidati. Credo di avere convinto il comitato di selezione offrendo un’impostazione di metodo pluriennale per lo sviluppo del museo. Il mio lavoro è di essere al servizio di una progettualità più ampia, dandone una declinazione, tendendo conto di molti elementi contingenti che si scoprono nell’attività quotidiana. Probabilmente, ha pesato il fatto che ho potuto lavorare in realtà museali di livello ad un’età piuttosto giovane e a 43 anni ho maturato esperienze che solitamente in Italia si raggiungono ad età ben più avanzate della mia. Se all’estero fare esperienze di rilievo da giovani è una cosa comune, in Italia è una cosa insolita. Poi, non credo che occupare una posizione come questa sia un premio alla carriera già fatta. Personalmente ho una forte motivazione etica di investire nel pubblico, intendendo l’arte come un mezzo di crescita della società nel suo complesso e non solo come un qualcosa di elitario. Per un museo pubblico occuparsi di arte deve essere un fatto scontato, ma è strategico parlare a tutti quelli che con l’arte non c’entrano. Parlare di arte a chi si occupa di arte è facile. Difficile è coinvolgere nell’arte i cittadini comuni: qui sta la missione istituzionale di un museo d’arte pubblico come il Mart.
Il 27 febbraio scorso all’atto della comunicazione della vincita della selezione, lei dichiarò in un’intervista che era una soddisfazione arrivare al vertice del più importante museo d’arte moderna d’Italia e tra i maggiori d’Europa. A due mesi dal suo effettivo insediamento, il Mart è una realtà in piene forze, oppure è un giocattolo di lusso un po’ ammaccato?
Direi che la mia convinzione positiva sul Mart cresce di giorno in giorno, perché a tutto quello che già conoscevo, si sta aggiungendo una forte collaborazione da parte di tanti soggetti, sia all’interno della macchina Mart, che all’esterno da parte dei rappresentanti istituzionali della provincia di Trento e del comune di Rovereto, ma anche da parte della comunità trentina, che desiderano essere parte di un orizzonte più alto. Se al Mart si chiede di essere la soluzione di tanti problemi che affliggono l’educazione, il turismo, l’economia del territorio, non si fa molta strada. Viceversa, se il Mart fa parte di una squadra più ampia, dove esso è uno dei protagonisti del gioco, a volte facendo anche un passo indietro rispetto ad altri, ma essendo sempre a disposizione per dare idee e proposte, può dare una mano a fare girare il volano della crescita. Sicuramente, serve una gestione improntata ad un arco temporale congruo, una programmazione di ampio respiro per mettere in campo iniziative condivise e che abbiano ritorno. Altrimenti, si finisce sempre per lavorare in condizioni di emergenza con tutto quel che ne consegue.
Uno dei problemi della gestione Collu era la separatezza del Mart rispetto al territorio, con proposte elitarie e di nicchia spesso non capite dal pubblico. Come intende recuperare il legame tra Mart e il territorio?
L’istituzione Mart è il territorio, da cui nasce e trae la propria legittimazione e come tale deve essere responsabile verso di esso. Il museo è espressione di una volontà di ricerca, di obiettivi posti dal territorio, cui si deve dare una risposta. Al tempo stesso al Mart viene chiesta anche competenza e di rendere accessibile quello che fa al suo interno. Qui c’è un centro museale che si occupa del valore dell’arte, non di arte fine a se stessa. Qui si lavora anche con gli artisti, ma in funzione del territorio. Il compito del Mart è trovare un equilibrio tra l’essere centro di ricerca, istituzione con funzioni identitarie, svolgere funzioni di gestione e di conservazione del patrimonio che ha avuto in custodia, saper partecipare a operazioni più ampie di marketing e turismo, facendo i conti con le risorse che a disposizione. E’ necessario semplificare tutto ciò in processi di narrazione, creando coordinate chiare di relazioni intersettoriali. Se così non è, è facile cadere nell’autoesclusione. Se non so dire cosa si farà al Mart nei prossimi anni, se non individuo dei fili coerenti, come è possibile promuovere adeguatamente il Mart? Vuol dire affrontare le cose sempre in emergenza, oltre a dover contare solo su risorse interne per la promozione degli eventi, quando invece facendo una programmazione adeguata c’è la possibilità di coinvolgere il mercato attraverso le sponsorizzazioni. Andiamo verso un’epoca di risorse calanti da parte del pubblico: se non sappiamo programmare e coinvolgere il privato nelle nostre proposte sarà difficile allestire mostre e sfruttare i benefici fiscali concessi ai privati che supportano l’arte. Voglio ribadire che ci vuole la continuità di progetto senza la quale non esiste identità e narrazione possibile. Sono ottimista per il Mart: non deve reinventarsi continuamente, ma deve chiarire continuamente quello che fa verso l’esterno, magari proponendo periodicamente dei guizzi qualitativi di alto livello.
Da più parti si lamenta che il Mart ha trascurato l’arte classica, mostre di grande impatto sul pubblico, l’ultima delle quali Antonello da Messina…
Importante è che ci sia, e lo dico con convinzione, il riconoscimento di quello che accade in un museo. Non si viene per scoprire qualcosa di assolutamente inedito. Non fosse altro che per riconoscere una certa ritualità dell’arte. Mi piace fare l’esempio del visitatore che va al Louvre di Parigi per riscoprire il celebre dipinto della Gioconda di Leonardo da Vinci. Non di vederla perché si è troppo lontani in quanto non ci si riesce nemmeno ad avvicinarvisi per la folla che si assiepa dinanzi al quadro. Eppure quello è l’archetipo di un’esperienza museale con il riconoscimento di un’aspettativa. Per avere credibilità nei confronti del pubblico è necessario creare forme d’esperienza artistica riconoscibili da parte dei fruitori. Non solo capolavori in rotazione, ma anche opera d’arte sempre fruibili, magari attingendo dalla ricca collezione d’arte di cui dispone il Mart, in modo che si possa serenamente dire che quel Casorati, quel Carrà quel Melotti, quel Depero sono visibili sempre al Mart. Non bisogna tradire le aspettative del pubblico.
La gestione Belli del Mart ha catalizzato una notevole mole di depositi e di prestiti. Cosa fare per valorizzarli adeguatamente?
Questa è una situazione ereditata importante su cui è importantissimo lavorarci, il che non significa rinunciare il dinamismo del museo, ma rafforzare gli elementi identitari. Importante è anche valorizzare l’identità del museo anche attraverso l’architettura unica dell’edificio che lo contiene che deve trovare spazi, tra Rovereto e Trento, per ospitare adeguatamente la fruibilità della sua collezione permanente.
Se il museo non riesce a fare sufficientemente cassa con il botteghino, è pensabile affittare gli spazi a terzi per fare allestire eventi di richiamo come accade in altre realtà?
No, perché ricorrere ad allestitori terzi si creano eventi spot che non danno continuità, abdicando di fatto a quella che è la missione di un museo, ancorché pubblico, che è la didattica e l’avvicinamento alla cultura artistica. I musei non devono essere solo dei “mostrifici”: la componente della formazione culturale è assolutamente primario, tant’è che il 90% dei musei americani d’arte si definiscono come delle agenzie educative. Se il tema è avere più turismo, è più facile fare un parco tematico o un aquafan. Le ricadute sul territorio devono avvenire tramite collaborazioni con il territorio medesimo, confrontandosi con contesti più ampi. Senza dimenticare che le mostre allestite da terzi spesso devono anche essere pagate.
In Trentino manca un coordinamento dei musei esistenti sul territorio. Come si può fare sintesi e coordinamento tra la realtà cittadina e magari provinciale per allestire un’offerta unica sotto il capello “Trentino” e per dare uno spunto al turista che venga a vedere il territorio anche per la sua offerta culturale, oltre che per quella paesaggistica?
Abbiamo già iniziato a parlarne e su questo si gioca la sfida di questo territorio. Se io dovessi venire al Mart solo per visitare una bella mostra d’arte contemporanea magari partendo da Roma o da Milano, io non ci penserei nemmeno. Non verrei a Rovereto solo per una mostra: preferirei andare a Londra, con meno tempo di viaggio e più offerta contemporaneamente. Il Mart non può essere attrattivo solo per quello che esso offre. Viceversa, se penso di venire a Rovereto, penso anche a tante altre cose, al territorio, alla storia, all’offerta di sapori… Per il Mart ci sono diversi contenitori possibili, la stessa città ai suoi numerosi musei. L’auspicio che deve esserci una rete tra i musei della città e la stessa città con i suoi concittadini. Non le nego che in questi due mesi di presenza in città ho conosciuto dei roveretani che al Mart non ci sono mai andati e che non sapevano che il museo Depero era parte integrante del Mart. I cittadini di Rovereto devono diventare i primi ambasciatori del “loro” Mart. La stessa cosa si può fare su base provinciale, attivando collaborazioni con le realtà di Trento, magari proponendo anche un biglietto unico che dia libero accesso a tutti i musei del territorio per incentivarne la fruizione. Sempre che dietro ci sia un progetto unitario che coinvolge le realtà museali e di promozione del turismo. Sul fronte dell’arte, si può fare rete tra i numerosi organizzatori di eventi, come quelli che si organizzano sul territorio durante l’estate, che posso essere una leva motivazionale anche per il turista. Superando anche le invidie e i personalismi tra i singoli protagonisti.
A due mesi dal suo insediamento, a che punto è la formazione del programma per l’attività dei prossimi cinque anni del Mart?
Siamo abbastanza avanti nell’idea progettuale del nuovo Mart, anche si i detagli definitivi devono essere ancora discussi e approvati dal comitato direttivo. Per me è molto importante individuare delle traiettorie più che gli eventi spot. Presto prima di Natale si comincerà ad avere la nuova configurazione del museo in un aspetto più congeniale alle sue possibilità. Alcune cose erano già avviate e con la nuova gestione ci vorrà un anno circa per andare completamente a regime.
Negli ultimi tempi la “T” di Mart è sempre più caduta in disuso, perché a Trento il presidio dell’arte moderna è molto impoverito. Cosa propone per il ruolo di Trento, e per valorizzare le collezioni permanenti che erano ospitate alle Albere?
La “T” è una delle componenti fondamentali del Mart e credo che il ruolo della Galleria civica di Trento sia fondamentale, anche se nel prossimo futuro dovrà essere qualcos’altro, non essere una mera succursale del Mart. Il ruolo di Galleria civica potrà essere mantenuto declinando gli obiettivi in una maggiore sensibilità civica. Va valorizzato il percorso dell’archivio sugli artisti trentini che sta facendo la Civica. Il Mart deve continuare ad essere il museo di Rovereto e di Trento, magari riportandolo dall’attuale sede della Galleria a quella storica di Palazzo delle Albere, anche per sfruttare la contiguità con il Muse.
Quanto è ipotizzabile creare una relazione internazionale del Mart con altri musei d’arte in Europa e nel mondo?
Ritengo fondamentale che il Mart sia il produttore delle proprie attività, tale da essere il protagonista, non andare a rimorchio di iniziative altrui. Se, come detto prima, il Mart riesce a crearsi un’identità chiara e riconoscibile, esso diviene un interlocutore importante per i partner internazionali. L’esempio tipico è il Mambo che è diventato co-produttore di mostre con il Metropolitan di New York. Ciò lo si può fare quando si ha una linea progettuale definita e chiara. Quando invece si è aperti solo all’iniziativa di soggetti terzi o all’acquisto di progetti prodotti da altri, anche dal punto di vista economico questo non regge, perché si è sempre a pagare qualcosa prodotto da altri e già visto altrove. Molto meglio produrre o co-produrre, perché si mantiene chiara l’identità progettuale, mentre si condividono e si riducono i costi operativi aumentando la visibilità anche nella altre sedi che ospitano la mostra. Voglio dare per scontato che a breve anche il Mart diventerà un protagonista di questo circuito, anche se per questo obiettivo sarà necessario un periodo di due-tre anni per potere effettuare una programmazione adeguata e in sinergia con le iniziative di altri musei. Dal 2017 al 2019 credo la maggior parte delle produzioni del Mart saranno spendibili anche in altri musei e ciò consentirà di incrementare molto di più le entrate del museo che non agire solo sul botteghino. Con questa strategia, sotto la mia gestione i bilanci del Mambo sono passati da una situazione con finanziamenti al 100% dal comune di Bologna ad un intervento del comune ridotto al solo 30%, mentre il resto era finanziato con i proventi di attività istituzionali del museo.