Ute Lemper incanta “la Fenice” nell’ambito di “Venezia Jazz Festival”

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Ute Lemper luce
Gradimento dal pubblico per lo spettacolo “Last Tango in Berlin. From Brecht in Berlin to the bars of Buenos Aires”

 

di Giovanni Greto

 

Ute Lemper luceAncora una volta Ute Lemper, nome di punta nel cartellone del “Venezia Jazz Festival”, ha soddisfatto il numeroso pubblico di affezionati, attratti, oltre che dalle doti artistiche e dalla voce, da un’innata eleganza e sensualità. Il repertorio del concerto ascoltato al teatro la Fenice, inserito anche nel festival estivo “Lo spirito della musica di Venezia”, si è sviluppato in un unico set di 102 minuti, non discostandosi sostanzialmente da quello preparato giusto due anni fa, sempre alla Fenice, in occasione del festival teatrale della Biennale di Venezia. 

Accanto a Lei, di nuovo il fedelissimo pianista tedesco Vana Gierig, il bandoneonista argentino Victor Villena e, unica novità, il contrabbassista francese Romain Lecuyer, entrato a far parte del gruppi più o meno da un anno e mezzo. La cantante esordisce con “Je ne regrette rien”, composta e interpretata da Edith Piaf, cui l’artista regala sempre uno spazio nelle sue esibizioni. Tacchi a spillo, vestito nero attillato, arricchito da una fascia rossa, uno spacco che apre alla gamba destra, calze nere trasparenti bene concorrono alla costruzione di un personaggio che, pur rievocando il passato, sembra non avere età. Lasciata la Piaf, la Lemper si trasferisce nella repubblica di Weimar, grazie ad un brano di Friedrich Hollaender “Want to buy some Illusions”, per poi rendere omaggio alla seconda artista, immancabile nel suo repertorio. E’ la mitica Marlene Dietrich, ricordata con affetto in “Ich bin di fesche Lola”, colonna sonora di “L’angelo azzurro”, accennando a passi di danza, mentre le mani imitano l’accompagnamento con le dita del contrabbasso. Si ritorna alla repubblica di Weimar con “Lili Marleen”, una canzone d’amore del 1942, che ha fatto piangere e sospirare un’intera generazione durante il secondo conflitto mondiale. Giunge il momento di ricordare Leo Ferrè, dopo un’incursione nel Kabarett berlinese, ritmicamente arabeggiante. Ute interpreta una lenta, affascinante ballad, “Avec le temps”. 

Il viaggio continua tra Berlino e Buenos Aires, legando tra loro un tango dall’Opera da tre soldi della coppia Bertolt Brecht/Kurt Well, ad uno di Astor Piazzolla, “Yo soy Maria”, tratto dall’opera “Maria De Buenos Aires”. Ute Lemper alterna un recitativo con voce roca, l’erre marcatamente arrotata, elemento seduttivo, ad uno Scat elegantemente percussivo. Il pubblico, immobile nelle poltrone, è catturato dalla voce, le movenze, il carisma dell’artista. Recita perfino un poema di Pablo Neruda, in francese, messo da lei stessa in musica, tratto da “Isla Negra” del 1960, “El viento”, abilmente riprodotto dal bandoneon. Una novità della serata è “Blue Bird”, il primo brano poetico composto dal geniale Charles Bukowsky, che la cantante conobbe a New York, dove si è trasferita ormai da 18 anni, felice madre di ben quattro figli. 

Il viaggio si conclude sulle note dell’immancabile “Die Moritat von Mackie Messer” di nuovo dalla “Dreigroschen Oper”, anglisticamente conosciuta come “Mack the Knife”, all’interno della quale la cantante inserisce il tema principale del musical “Cabaret”. Bombetta sul capo, Ute Lemper si appoggia su una spalla del bandoneonista, improvvisa uno Scat, riproducendo con fedeltà le sonorità di una tromba o di un trombone, dando vita ad un momento pieno di Swing, dato che il jazz era riuscito a penetrare nelle cupe atmosfere della Germania hitleriana. Il brano sta per concludersi, e allora la Lemper invita il pubblico a fischiettare il tema. Gli strumenti tacciono, mentre il pezzo magicamente sfuma. E’ possibile che un concerto debba finire così? No, no davvero. L’artista torna sul palco per interpretare, come due anni fa, in un apprezzabile italiano, il tema principale di “Amarcord”, di Nino Rota, congedandosi da un pubblico che l’applaude in piedi, con affetto e stima. Ottimo il trio che la sostiene. Dal pianista Vana Gierig, da molto tempo assieme a lei, al bandoneonista Victor Villena, pronto a cogliere le diverse sfumature, composizione dopo composizione, all’acquisto più recente, il contrabbassista Romain Lecuyer, abile con le dita e con l’archetto e trascinante negli episodi più propriamente jazzistici. A questo proposito, non sarebbe male l’aggiunta di un batterista/percussionista, per dare maggior energia, in gergo “tiro”, e far crescere ritmicamente parecchi brani.