Unioncamere presenta alla Commissione industria del Senato la ricerca sull’automotive italiano

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Bmw 2010 Serie 6 Cabrio linea montaggio fabbrica 4
L’indagine condotta in collaborazione con Prometeia ha evidenziato che il settore ha un notevole potenziale. Genera il 16% del gettito fiscale (71,6 miliardi di euro), l’11% del Pil e occupa 900.000 addetti. Dall’inizio della crisi persi in silenzio 200.000 posti di lavoro, 20 volte l’Ilva di Taranto

 

Bmw 2010 Serie 6 Cabrio linea montaggio fabbrica 4Il settore dell’automotive italiano è stato radiografato da una ricerca condotta da Unioncamere – Prometeia, “Il settore automotive nei principali paesi europei”, presentata al Senato nella Commissione Industria del Senato presieduta da Massimo Mucchetti. «In un’Europa che ha deciso di elevare al 20% del Prodotto interno lordo il contributo delle attività manifatturiere, l’industria dell’auto non può non avere un ruolo centrale» ha detto il presidente del Senato Pietro Grasso, durante la presentazione della ricerca. Per Grasso il settore automobilistico è «strategico per l’industria italiana, poiché in esso si concentra un alto tasso di innovazione anche in relazione alla sfida ecologica, un’alta complessità tecnico-organizzativa e una delle più generose fonti di occupazione».

E di gettito fiscale, visto che il settore genera circa 16% del gettito complessivo. L’intera filiera dell’automotive dà lavoro a 1,2 milioni di persone, delle quali 500.000 impegnate nelle fasi industriali. Il peso che il settore automobilistico ha in Germania, secondo Grasso, «dimostra che, puntando sulla qualità, si può sviluppare questa produzione anche nei Paesi con i salari più elevati e la struttura sociale più inclusiva». 

La ricerca presentata è stata avviata nel 2014, quando in Italia la crisi del mercato dell’auto era più profonda, ed è stata conclusa in queste settimane, con un mercato in netta ripresa. La spinta della Fiat, o meglio di Fca, è evidente e positiva. Tuttavia, paragonando l’Italia agli altri grandi Paesi europei con un’industria automobilistica particolarmente sviluppata, i ricercatori hanno dedotto che il futuro di questo settore così importante potrebbe essere «migliore, più solido, con una pluralità di produttori». Quello scenario che l’indimenticato Romano Prodi cacciò dalla finestra allorquando, dal timone dell’Iri, dovendo vendere una decotta Alfa Romeo pubblica, fece di tutto per cederla alla Fiat per quattro lire per di più pagabili in comodissime rate, invece di darla agli americani della Ford, che pure si offrivano di pagarla a peso d’oro in contanti. Secondo i ricercatori, perché l’automotive italiano abbia nuova linfa sono necessari «nuove prospettive e interventi di politica industriale» e un «ruolo, di tipo nuovo, degli Stati».

Per il presidente di Unioncamere, Ivan Lo Bello, «per le Camere di commercio pensare allo sviluppo dell’automotive in Italia non significa solo puntare ad attirare investimenti, ma individuare priorità per innalzare al competitività: incentivare la ricerca, favorire la modernizzazione delle competenze della filiera e sostenere la nascita e il rafforzamento delle reti tra le imprese e con i centri di produzione per favorire la specializzazione». Lo Bello ha sottolineato come «nonostante il ridimensionamento domestico dell’industria domestica di autoveicoli, le circa 2.500 imprese italiane di componentistica hanno mostrato discreti risultati economici e una buona capacità di presidiare i mercati internazionali». Lo Bello ha aggiunto che la domanda di auto ha cambiato segno registrando un incremento del 15,1% nei primi sei mesi dell’anno ma che sta cambiando l’idea di mobilità con il “car sharing” e la sensibilità alle tecnologie verdi. 

Le priorità per il settore, per Unioncamere, sono: «incentivare la ricerca e rafforzarne le ricadute sulle economie territoriali; favorire la modernizzazione delle competenze della filiera, investendo sul capitale umano e facilitando l’incontro fra domanda e offerta di lavoro; sostenere la nascita e il rafforzamento delle reti (tra le imprese e tra queste e i centri di produzione e diffusione della conoscenza) per favorire la specializzazione innalzando, al contempo, anche l’effetto scala sul versante tecnologico e commerciale». Il settore dell’automotive in Italia vale un giro d’affari di 67 miliardi di euro, pari a quasi il 5% del Pil, e occupa oltre 1,2 milioni di addetti. In particolare, la fase industriale genera oltre 27 miliardi di euro di valore aggiunto, impiega oltre 500.000 occupati e contribuisce alla formazione del 2% del Pil, mentre la fase distributiva produce valore per circa 40 miliardi di euro e sostiene oltre 700.000 occupati.

Proprio sul fronte della distribuzione interviene Federauto, l’associazione dei concessionari italiani che propone un piano triennale per rilanciare il settore dell’auto in Italia, che potrebbe registrare un ulteriore +23% (966.000 unità) in 36 mesi senza gravare sulle risorse pubbliche. «Se il 2015 confermerà il trend di crescita attuale l’anno si chiuderà a federauto presidente Filippo Pavan Bernacchicirca 1.500.000 auto immatricolate, registrando un +15%. Peccato che questo volume ci riporti indietro di 35 anni: era il 1980 quando l’Italia esprimeva questi numeri. Serve con urgenza una nuova fiscalità sugli autoveicoli, sia per i privati sia per le aziende, per favorire il rilancio del settore a costo zero per lo Stato – ha detto ai Senatori membri della Commissione, Filippo Pavan Bernacchi, presidente di Federauto -. Un’aliquota Iva agevolata per i privati, con beneficio decrescente, potrebbe generare in un triennio 756.000 immatricolazioni aggiuntive, mentre il credito o deduzione d’imposta innescherebbe un’ulteriore domanda di 210.000 vetture delle partite Iva. Il tutto sostenuto dalle conseguenti maggiori entrate fiscali e il minor ricorso a misure quali gli ammortizzatori sociali». 

In alternativa Federauto chiede al Governo di alleggerire la pressione sul comparto, in particolare su chi utilizza gli autoveicoli, come pure di eliminare il demagogico superbollo per le auto prestazionali. Sono questi i punti cardine delle proposte di Federauto per stimolare il rinnovo del parco circolante italiano, che oggi conta quasi 11 milioni di autovetture altamente inquinanti e riportare il mercato a un livello di sostenibilità per l’intera filiera.

«Negli ultimi 7 anni – ha aggiunto Pavan Bernacchi – il comparto ha perso quasi il 50% delle immatricolazioni, con un crollo della domanda dei privati (-53%) e una forte contrazione del numero degli occupati. In questo quadro di forte crisi l’unica risposta istituzionale degli ultimi Governi è stata quella dell’aumento della tassazione sugli autoveicoli: nel solo 2014 lo Stato ha incassato 71,6 miliardi di euro con una crescita negli ultimi 8 anni dell’1,7%. Tutto ciò ha determinato una perdita di posti di lavoro nel mondo della sola distribuzione di 20.000 addetti. Una cifra che sale a oltre 200.000 considerando anche le case automobilistiche, le officine, i fornitori e l’indotto allargato: 20 volte in più rispetto al dramma occupazionale dell’Ilva di Taranto; ma nel disinteresse generale. Ciononostante, il settore vale ancora l’11% del Pil, occupa 900.000 addetti e partecipa alle entrate fiscali per il 16%».