Val di Non, ancora troppi pesticidi nella produzione intensiva di mele

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Mele golden delicious melaRapporto di Greenpeace che ha analizzato le modalità di coltivazione in Europa. Per Assomela la situazione è in regola, con una tendenza al calo nell’impiego di fitofarmaci

Con una ricerca intitolata significativamente “Il gusto amaro della produzione intensiva di mele”, Greenpeace ha analizzato le modalità di coltivazione del frutto del peccato in Europa, proponendo anche alcune soluzioni per limitare il ricorso ai fitofarmaci, che in alcuni territori (come l’italiana Val di Non) è ancora elevato.

Secondo Greenpeace, la produzione di mele e la frutticoltura in generale, sono tra i settori dell’agricoltura europea che più si contraddistinguono per l’utilizzo di sostanze chimiche. Considerando che l’Europa è tra i produttori di punta e uno dei maggiori consumatori di mele a livello mondiale, e che le mele sono il frutto più diffuso nell’Europa dei 27, l’importanza di questo settore è evidente. Ma produrre il nostro cibo con un sistema che dipende fortemente dall’impiego di pesticidi chimici di sintesi non è senza implicazioni. L’agricoltura industriale ha un impatto diffuso: dalla contaminazione del suolo e delle acque agli effetti dannosi per le api e gli altri impollinatori, fino alle conseguenze per la salute degli agricoltori, delle loro famiglie e dei consumatori. La crescente preoccupazione sull’uso massiccio di pesticidi in Europa va di pari passo con il bisogno di trovare soluzioni sostenibili.

Il rapporto di Greenpeace da un lato denuncia il carico di tossicità legato alla produzione industriale di mele in Europa; dall’altro mostra una selezione di soluzioni sostenibili già esistenti, adottate dagli agricoltori in diverse regioni europee per proteggere le colture senza ricorrere a pesticidi chimici di sintesi. Sono stati esaminati 49 campioni di suolo provenienti da meleti intensivi e 36 campioni di acqua prelevati all’interno dei meleti stessi o nelle aree adiacenti, analizzati per verificare la presenza di residui di pesticidi. Su un totale di 85 campioni raccolti sono stati rilevati 53 pesticidi diversi: il 78% dei campioni di suolo e il 72% dei campioni di acqua contenevano residui di almeno un pesticida. Il 70% dei pesticidi individuati ha un’elevata tossicità per gli esseri umani o per l’ambiente. Per l’Italia, i campioni sono stati raccolti in Val di Non e in Valtellina.

Questi campioni rappresentano una fotografia della situazione all’inizio del periodo di fioritura. I risultati mostrano che nei meleti europei è possibile trovare una vasta gamma di pesticidi nel suolo e nelle acque, che rimangono nel terreno e continuano a inquinare l’ecosistema anche dopo l’applicazione. Nonostante non sia possibile determinare l’esatta provenienza di questi pesticidi, l’ipotesi più verosimile per spiegare la presenza della maggior parte dei principi attivi individuati è l’uso diretto (recente o passato) di pesticidi nei meleti dove questi campioni sono stati raccolti, mentre alcune sostanze potrebbero essere il prodotto della parziale degradazione di altri pesticidi.

irrorazione atomizzatroe meleto trattore goldoniIl numero di pesticidi rilevati nei campioni di suolo arriva a un massimo di 13 sostanze (due campioni), mentre per quanto riguarda l’acqua si arriva a un massimo di 12 (un campione). Più della metà (il 56%) del totale dei campioni raccolti di suolo e acqua conteneva almeno due pesticidi, mentre in cinque campioni sono stati trovati dieci o più sostanze diverse. I pesticidi rilevati con più frequenza nel suolo sono il fungicida “Boscalid” (nel 38% dei campioni), con livelli di concentrazione che arrivano a 3,6 mg/kg; il “DDT”, in forma di DDE e DDD (nel 26% dei campioni) fino a 0,4 mg/ kg; il “Clorpirifos etile” (nel 20% dei campioni) fino a 0,26 mg/kg. Mentre i pesticidi trovati con più frequenza nell’acqua sono “Boscalid” (nel 40% dei campioni, fino a un livello di concentrazione di 23 μg/l) e “Clorantraniliprolo” (nel 40% dei campioni, fino a 2 μg/l). Tutti e quattro questi pesticidi hanno livelli di tossicità molto elevati.

Confrontando i risultati in base al Paese di provenienza dei campioni, il più alto numero di pesticidi nel suolo è stato riscontrato in Italia (18 pesticidi in totale su tre campioni raccolti), seguita dal Belgio (15 pesticidi su tre campioni) e dalla Francia (13 pesticidi su sei campioni). Per quanto riguarda l’acqua, i valori maggiori sono stati registrati in Polonia (13 pesticidi su tre campioni), Slovacchia (12 pesticidi su tre campioni) e, di nuovo, Italia (10 pesticidi su due campioni).

Dei 38 pesticidi rilevati nei campioni di acqua, otto sono noti per essere altamente tossici per gli organismi acquatici. Uno dei pesticidi riscontrati nei campioni di suolo è altamente nocivo per i lombrichi; otto dei pesticidi individuati nei campioni di suolo o acqua vengono considerati altamente tossici per le api. Venti dei pesticidi individuati nei campioni sono ritenuti essere altamente persistenti nell’ambiente.

L’uso di sette dei pesticidi trovati non è attualmente approvato nell’Unione europea, se non previa apposita deroga in uno dei Paesi membri. Questi residui potrebbero essere il risultato di applicazioni passate, mentre nel caso del carbendazim potrebbe essere il prodotto della degradazione di altri principi attivi come il tiofanato metile, il cui impiego è approvato nell’Ue.

In cinque campioni sono state rilevate concentrazioni di alcuni pesticidi superiori ai valori definiti negli Standard di Qualità Ambientale (SQA) dei contaminanti prioritari della Direttiva quadro europea sulle acque, e in due di questi – entrambi raccolti in Italia – le concentrazioni del clorpirifos etile superavano i livelli massimi previsti.

L’indagine condotta da Greenpeace è stata commentata da Assomela, Consorzio delle Organizzazioni di Produttori di mele italiani che rappresenta l’80% della produzione melicola nazionale: «proprio quanto diffuso da Greenpeace dimostra la straordinaria evoluzione nella selezione di agrofarmaci sempre più moderni e la professionalità dei frutticoltori nel loro impiego. Gli agrofarmaci rilevati, che, come peraltro affermato dalla stessa Greenpeace, sono ammessi dalla legislazione Europea sono inseriti nei disciplinari di produzione integrata nazionali e, di conseguenza, in quelli delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano, spesso con ulteriori limitazioni tecniche volontarie. Il bassissimo tenore dei residui rilevati per questi prodotti, nell’ordine delle “parti per miliardo” (ppb), molto inferiori rispetto ai limiti di legge – prosegue Assomela – conferma peraltro la correttezza e la professionalità nell’impiego di tali sostanze da parte dei frutticoltori».

Assomela sottolinea poi come gran parte delle molecole rinvenute, peraltro non in Italia, come il DDT, risalga agli Anni Sessanta e Settanta del secolo scorso e sia oggi escluso per legge, come il residuo trovato sia generalmente basso, inferiore fino a 15 volte il consentito per le sostanze ammesse e come non siano state trovate molte sostanze di comune impiego, dimostrando «non solo un uso professionale, ma anche la veloce degradabilità nel suolo». Il consorzio chiude affermando che un miglioramento è ancora possibile, ma che sembra vengano sottovalutate una serie di azioni messe in campo, le collaborazioni dei frutticoltori coi centri di ricerca per trovare tecniche alternative a quelle dei pesticidi, e i «molteplici indicatori della rinnovata “vitalità” dei frutteti del giorno d’oggi, dove nidificano molte specie di volatili, dove tornano i rapaci, ma anche molte altre forme di vita, e dove l’incontro con animali selvatici è facile e frequente».