Cartellone con Brahms, Schubert e Uvietta
La serata in programma nella sala dei concerti della Società Filarmonica di Trento mercoledì 26 novembre (ore 20.45) assume un particolare rilievo e significato.
Attorno a quattro formidabili musicisti del Quartetto Prometeo (Giulio Rovighi, violino; Aldo Campagnari, violino; Massimo Piva, viola; Francesco Dillon, violoncello), si uniscono due strumentisti talentuosi della città di Trento, come Roberta Gottardi e Stefano Guarino chiamati a collaborare per la proposizione di due poetiche pagine cameristiche firmate da Schubert e Brahms. Tutti i musicisti si raccolgono nel finale nel segno di una prima esecuzione assoluta commissionata a Marco Uvietta.
Risultato vincitore della 50° edizione del Prague Spring International Music Competition nel maggio 1998, il Quartetto Prometeo ha continuato a mietere ambiti riconoscimenti meritando per la seconda volta, nel 2000, il Premio Speciale Bärenreiter al Concorso ARD di Monaco. Sempre attento alle espressioni musicali del nostro tempo, il Quartetto Prometeo affianca normalmente il repertorio tradizionale a quello contemporaneo collaborando con diversi compositori (da Sciarrino a Gervasoni). Il suo impegno è stato salutato con successo nelle sale più significative del mondo musicale, dal Concertgebouw di Amsterdam al Musikverein di Vienna, dall’Orlando Festival all’Accademia di Santa Cecilia di Roma.
Gli interessi della clarinettista Roberta Gottardi spaziano dalla musica del tardo barocco, eseguita con strumenti storici, a quella di oggi, alla quale si dedica sia come solista che in ensemble. È stata interprete di riferimento per lo spettacolo di teatro musicale Harlekin di Karlheinz Stockhausen concepito per un unico clarinettista-danzatore-mimo, vincitrice del primo premio al concorso promosso dalla Fondazione Stockhausen e collaboratrice di altri autori dei quali ha eseguito brani in prima assoluta o a lei dedicati. È membro di Algoritmo e docente di clarinetto al Conservatorio di Bolzano. Stefano Guarino, pianista e violoncellista, ha suonato stabilmente in duo e in trio con i fratelli esibendosi in diverse sale d’Europa e America. Già componente della Gustav Mahler Jugendorchester collabora in qualità di primo violoncello con orchestre quali l’Orchestra del Teatro Regio di Torino, la Mahler Chamber Orchestra e la Lucerne Festival Orchestra. Vincitore di numerosi premi nazionali e internazionali è primo violoncello solista stabile della Camerata Academica Salzburg.
“Fräulein Klarinette”: così Brahms soprannominava l’aggraziato e dolce suono del clarinettista Richard Mühlfeld per il quale, sull’onda di uno slancio creativo del tutto inaspettato (da un anno considerava conclusa la sua carriera), compose diverse opere tra il 1891 e il 1894. Tra queste spicca il Quintetto op. 115 (1891), pervaso da una sorta di nostalgia da fin de siècle anche nei suoi momenti più briosi: un aspetto già riconosciuto all’epoca da Hanslick che vedeva “il tutto immerso in un cupo tramonto” e dal biografo brahmsiano Kalbeck che definiva l’opera “un congedo dal bel mondo”.
Appartiene alla costellazione dei ‘congedi’ musicali anche il Quintetto D 956 (1828) di Schubert, composto due mesi prima della morte. Domina qui un respiro quasi più orchestrale che cameristico, non solo per le monumentali dimensioni della composizione, ma anche per il colore scuro dato dal raddoppio del violoncello. Una pagina di grande intensità e ispirazione, che pare essere costruita interamente sul ‘ricordo’ visti i suoi ricorrenti richiami e rielaborazioni chiamati a fare da fil rouge tra i movimenti.
Tre sono le identità sonore che si intrecciano in Triplum di Marco Uvietta: clarinetto basso, pianoforte e il quartetto d’archi, quest’ultimo considerato come un unico strumento. Come dichiara il compositore stesso: “Il sottotitolo crea improbabili relazioni fra cliché del Novecento, sottoponendoli ad analisi critica al fine di definire la composizione al negativo: gioca con la ripetizione, ma non è minimalista; struttura la forma sulla base di dodici piani tonali diversi, ma non è dodecafonica; localmente articola il tempo in misure diverse, globalmente riconduce tutto ad un’unica unità di misura. La forma si articola in sei sezioni che utilizzano lo stesso materiale; non è ciclica, ma neppure rapsodica: l’unico ‘effetto-ripresa’ viene subito smentito. L’ascoltatore potrà ricostruire la forma a suo piacimento”.