Fallimenti e concordati in continuità: indagine sulle imprese della Marca Trevigiana

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fallimento fascicoli tribunale 1Confartigianato Treviso esamina la situazione

Fallimenti e concordati. Pochi ne parlano eppure pesano come un macigno, soprattutto sull’economia della Marca Trevigiana.

Negli ultimi due anni a Treviso le richieste di apertura di fallimento sono cresciute più che in Italia. Per questo Confartigianato Marca Trevigiana ha deciso di squarciare il velo con un’indagine unica nel suo genere “Concordati e fallimenti: opportunità o abuso delle regole?”, realizzata dal Centro studi Sintesi.

Dalla massa di dati è emerso un chiaro segnale: le piccole imprese, specialmente quelle artigiane, non attuano alcuna procedura di gestione del rischio di credito. Di conseguenza, è molto elevato il rischio di subire pesantemente gli effetti dell’insolvenza dei propri clienti, divenendo a loro volta insolventi.

La ricerca è articolata in tre parti. La prima parte fornisce informazioni sul numero delle procedure, concorsuali e non, in rapporto alla numerosità delle aziende attive, nonché ai flussi della “nati-mortalità”, mettendo in rapporto Treviso con il Veneto. La seconda è costituita dai risultati d’interviste condotte su un campione rappresentativo d’imprese artigiane. Infine, dall’indagine campionaria sono emersi elementi strutturali della piccola impresa, che per quanto non del tutto inattesi, offrono lo spunto per riflessioni sull’identità dell’artigianato trevigiano.

Da gennaio 2012 ad agosto 2014 sono state aperte in provincia di Treviso circa cinquemila procedure, delle quali mille solo nei primi otto mesi di quest’anno, 1,3 procedure ogni cento imprese, pari al 18% del totale in Veneto. Le procedure di fallimento nel trevigiano sono state oltre seicento da gennaio 2012, una su cinque di quelle aperte in regione. La dinamica delle aperture di concordato preventivo appare più critica in provincia che su base regionale. Il 28% delle aziende è stato coinvolto in un concordato preventivo. Sono soprattutto le piccole imprese e le artigiane a risultare coinvolte nei concordati, sono il 54% di quelle coinvolte. Ma il concordato è richiesto soprattutto dalle imprese di medie-grandi dimensioni, pari al 61% di chi lo richiede. Solo il 27% delle aziende coinvolte in un concordato preventivo riesce a recuperare i crediti. Purtroppo, la maggior parte delle aziende (61%) che ha chiesto un concordato preventivo poi è fallita. In particolare, quasi la metà (48%) delle aziende coinvolte in un concordato preventivo è poi fallita per non aver recuperato i crediti.

I tempi medi di attesa per il recupero dei crediti hanno superato i due anni. Nelle interviste agli imprenditori è risultato che un concordato preventivo è giudicato sostenibile solo con alte quote di recupero dei crediti (60%) e con tempi di recupero più brevi di quelli sperimentati, al massimo otto mesi. Per molti imprenditori (41%) il concordato preventivo è preliminare al fallimento o anche coincide (6%).  Il 70% degli imprenditori sa cos’è il concordato preventivo, ma è sentita la necessità di avere ulteriori informazioni.

L’indagine ha anche messo in rilievo la fragilità delle imprese più piccole. Innanzitutto c’è una forte dipendenza da un numero ridotto di committenti, di media 7-8 per azienda, e una forte concentrazione del fatturato: mediamente il 40% viene realizzato con un solo committente. Inoltre il 44% delle aziende continua a lavorare per committenti che non pagano. I clienti in ritardo sui pagamenti sono raddoppiati rispetto a prima della crisi: ora sono il 16% contro l’8% del 2008. I tempi medi di pagamento si sono allungati rispetto a prima della crisi: ora sono di 78 giorni contro i 60 giorni del 2008. Il ritardo dei pagamenti sui tempi concordati è mediamente di 40 giorni. Anche i pagamenti della Pubblica Amministrazione superano ampiamente i 60 giorni con una media di 84 giorni.

Inevitabile che quasi la metà delle aziende accusi problemi di liquidità causati dal ritardo dei pagamenti con pesanti ripercussioni sul territorio, ma sono ancora pochi (41%) gli imprenditori che hanno attivato o hanno intenzione di attivare una benché minima strategia per fronteggiare il ritardo dei pagamenti.

I crediti già bruciati dall’inizio della crisi sono consistenti: di media 60 mila euro cui si possono sommare altri 50 mila euro ormai ritenuti inesigibili. La scarsa liquidità ha recentemente spinto il 26% delle aziende a chiedere una dilazione sui pagamenti ai propri fornitori. La scarsa liquidità ha anche spinto il 42% delle aziende all’indebitamento bancario, il 35% di queste ha recentemente avuto problemi di restrizione del credito. Non solo, il 38% delle aziende ha recentemente subito un aumento dei tassi d’interesse passivi, anche se oltre la metà di esse non sa quale sia l’effettivo tasso applicato. Di fronte ad una restrizione del credito o a richieste di maggiori garanzie, la metà delle aziende (55%) potrebbe pensare di cambiare banca.