Finozzi: «indispensabile “liberare” gli imprenditori dai troppi lacci burocratici»
Il turismo, ovvero quel settore dell’economia nazionale che dovrebbe essere la principale risorsa di sviluppo dell’Italia, il paese che concentra il maggior numero di giacimenti culturali nel mondo, è sempre più una cenerentola. Dopo essere stata superata da Spagna e Francia, l’Italia è ora sorpassata anche dalla Germania.
Un dato che ha sconcertato l’assessore al turismo della regione Veneto Marino Finozzi: «di fronte a notizie del genere, vedere che lo Stato vuole riaccentrare le competenze e mettersi in sostanza a fare l’imprenditore turistico mi fa rabbrividire: liberi piuttosto gli imprenditori veri dalle pastoie e dai costi aggiuntivi che ci mettono fuori mercato. Ci penseranno loro a far crescere il settore, come hanno fatto nei decenni d’oro durante i quali l’Italia era la prima meta turistica del mondo».
Finozzi allarga il suo ragionamento: «il mio sconcerto nasce anche dal constatare che, in un anno “meteorologicamente” nero come il 2014, il turismo del Veneto, dove si conta un pernottamento ogni sei registrati in tutta la penisola, è in controtendenza rispetto al resto d’Italia e cresce in arrivi e presenze. Che non sono di per sé determinanti perché ciò che alla fine interessa le imprese turistiche è il reddito, che quest’anno deve fare i conti con danni materiali, cambiamenti forzati di abitudini turistiche e sconti per non perdere la clientela, anche se paga lo scotto. Ma se in una situazione non rosea calano anche questi, c’è da piangere».
Come fare per affrontare la situazione? «Non ho ricette “politiche” miracolose – dice Finozzi – ma mi faccio interprete delle lamentele dei nostri operatori: per prima cosa occorre intervenire abbassando la fiscalità generale e locale per recuperare margini di concorrenzialità. Secondo Trivago, gli hotel italiani sono tra i più cari d’Europa. Questo dipende anche, se non soprattutto, da imposte e balzelli che dai noi sono ormai altissimi e compromettono la possibilità di far crescere una ricchezza in un settore dove dovremmo primeggiare. Gli albergatori, tra Imu e Tasi, devono pagare fino a 770 euro a stanza solo per il fatto che questa esiste. L’Iva nel comparto ha un’aliquota tra le più alte del vecchio continente, mentre i redditi sono assorbiti dalle tasse per circa il 50%. In queste condizioni si fatica non solo ad essere concorrenziali, ma anche ad investire in qualità per dare le risposte richieste dai turisti di oggi. Poi, evitiamo di fare leggi stupide, come quelle sulla demanialità o sui campeggi. L’imprenditore ha bisogno di regole chiare, poche, di buon senso e non punitive. E attenzione ai contributi pubblici: devono servire veramente ma essere investiti seriamente. Se la crescita di ricchezza si dovesse calcolare sulla base dei contributi elargiti, il nostro Sud dovrebbe essere la capitale mondiale del turismo, cosa che forse merita, ma che non è. E noi dovremmo essere in fondo alla classifica, mentre siamo in cima. Mi fermo qui, sperando che le diatribe in politichese che ci sommergono ormai da anni possano veder emergere i fatti dei quali abbiamo bisogno, e non solo nel turismo».