Dal TTIP rischio per la carne “Made in Italy” se non passa l’etichettatura d’origine

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Aia vaschette coscie pollo già prezzate 1Sanfrancesco: «l’accordo di libero scambio con gli Usa deve basarsi su regole certe sul rispetto degli standard di sicurezza»

«Se, come temiamo, il negoziato sul libero scambio con gli Stati Uniti porterà ad un’apertura nei confronti delle importazione avicole, vogliamo la sicurezza dalla Commissione europea che il prodotto importato rispetti gli standard comunitari in termini di biosicurezza, benessere animale, divieto nell’utilizzo di sostanze chimiche, a tutela in particolare della filiera avicola italiana».

Lo dichiara Lara Sanfrancesco, direttore generale di Unaitalia (Unione nazionale filiere agroalimentari carni e uova), nel corso del della presentazione veronese di Eurocarne, ultima tappa di un tour che ha toccato Legnaro (Padova), Reggio Emilia e Milano e che proietta il comparto verso la grande manifestazione dedicata alla filiera delle carni e alle tecnologie per la produzione, lavorazione e commercializzazione.

Per contrastare i pericoli del Ttip (Transatlantic Trade and Investment partnership), il Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti, spiega Lara Sanfrancesco, «stiamo lavorando per far emergere i valori della filiera avicola italiana, anche attraverso l’etichettatura; solo così potremo difendere l’autosufficienza produttiva e tutelare le caratteristiche del “Made in Italy” che rendono il prodotto sicuro e rispettoso di standard produttivi elevati. Altrimenti il rischio è che l’avicoltura italiana non sia più competitiva in caso di importazioni dagli Stati Uniti».

Le minacce sono di due ordini. «L’utilizzo negli Stati Uniti di antibiotici promotori della crescita e l’impiego di decontaminanti come il cloro per abbattere eventuali agenti patogeni – specifica Sanfrancesco -. Entrambe le procedure sono vietate nell’Unione europea». Altri rischi, inoltre, sono di ordine economico, perché «i costi di produzione in Italia sono molto più elevati, anche per garantire una tracciabilità della filiera che risponde ai massimi requisiti di sicurezza alimentare».

Nel corso degli anni, i consumi di carne avicola sono aumentati in maniera considerevole, passando «da 1,5 chilogrammi pro capite annui negli anni Cinquanta – osserva Sanfrancesco – agli attuali 19,30 chili e le prospettive sono di un’ulteriore crescita nel medio-lungo periodo, tanto che nel 2050 quella avicola sarà la carne più consumata al mondo». L’evoluzione dei consumi, prosegue il direttore generale di Unaitalia, ha registrato modifiche anche sul fronte degli acquisti. «Fino agli anni Ottanta – osserva – si consumava solo il pollo intero, mentre oggi il trend si è invertito e il consumatore predilige le singole parti: la coscia, il petto, le ali, la sovra-coscia, grazie anche all’evoluzione delle tecnologie e all’estro tipico del “Made in Italy”, che ha portato ad avere prodotti ad alto contenuto di servizio».

Cambiamenti che si possono riassumere così: «il 28% dei consumi sono rappresentati da preparati e trasformati, come ad esempio spiedini e “roll-on”, il 60% è legato alle singoli parti avicole, mentre solo il 12% è dato dall’acquisto di avicoli interi».Dinamiche, queste, che rispondono ai cambiamenti della società, che riflette un aumento delle famiglie mononucleari e la ricerca di prodotti pronti risponde al bisogno di avere una facilità di accesso agli strumenti di cucina più veloci». Nel 2008, invece, il 21% era rappresentato da preparati e trasformati, il 64% da singole parti avicole e il 15% da avicoli interi.

Unaitalia rappresenta oltre il 90% di tutta la produzione avicunicola nazionale, pari a 1.258.800 tonnellate di carni avicole e 68.000 tonnellate di carni cunicole (anno: 2013). Il valore alla produzione ha toccato i 5,7 miliardi di euro, mentre i dipendenti della filiera sono complessivamente

100.000, tra diretti (55.000) e indotto. «Le previsioni dei consumi nel 2014 sono sostanzialmente stabili, con un incremento dello 0,4%, mentre i consumi sono stazionari – riassume Sanfrancesco -. La filiera avicunicola è l’unico comparto zootecnico in cui l’Italia può contare sulla sovranità alimentare, grazie a una produzione pari al 108% del fabbisogno, con 243.000 tonnellate esportate e 145.000 importate». A livello europeo l’Italia si colloca al sesto posto in termini di produzione, dopo Polonia (2.372.000 ton), Francia (1.872.000 ton), Germania (1.708.000 ton), Inghilterra (1.606.000 ton) e Spagna (1.299.000 ton).