La Dengue rischia di radicarsi nel NordEst

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zanzara-ilnordestUno studio della University of East Anglia-Uea nel Regno Unito esamina le aree a rischio d’Europa. In Italia maggiormente a rischio le aree costiere e la Val Padana

L’ombra della febbre “spacca-ossa” si allunga sull’Italia: se i cambiamenti climatici continueranno senza un’inversione di rotta, nel giro di una cinquantina d’anni la Dengue, infezione tropicale trasmessa dalle zanzare del genere Aedes, potrà diffondersi anche in Europa. Il pericolo maggiore riguarda le aree che si affacciano sul Mediterraneo e in particolare sull’Adriatico, litorali della Penisola compresi, e la Val Padana.

A lanciare il monito un gruppo di scienziati della University of East Anglia-Uea nel Regno Unito, che in uno studio pubblicato su “Bmc Public Healt” disegnano la mappa del rischio e, insieme alla Spagna, citano espressamente il Belpaese: «le coste italiane e la Valle del Po sono fra le aree per cui si prevede una probabilità maggiore di diffusione», scrivono nero su bianco Paul Hunter e colleghi della Uea’s Norwich Medical School. La malattia di Dengue – ricordano gli autori – causata da un virus veicolato da alcune specie di zanzare, e provoca sintomi come febbre, mal di testa, dolori muscolari e articolari. Ogni anno l’infezione colpisce 50 milioni di persone nel mondo, con circa 12.000 morti, per la maggior parte nel Sudest asiatico e nell’Ovest Pacifico. Gli scienziati inglesi hanno utilizzato dati raccolti in Messico, dove la febbre di Dengue presente. Hanno esaminato l’epidemiologia della malattia e l’effetto di variabili climatici come temperatura, umidite piogge, e di fattori socioeconomici fra cui il Pil pro-capite. Su queste basi hanno stimato i casi di Dengue nei 27 paesi membri dell’Ue in 4 periodi: condizioni base (periodo controllo, dal 1961 al 1990), breve termine (2011-2040), medio termine (2041-2070) e lungo termine (2071-2100).

Ebbene, le proiezioni a lungo termine prevedono un aumento del rischio di malattia rispetto al periodo controllo: in futuro, se il clima continuera cambiare, l’incidenza di Dengue in alcune zone d’Europa potrebbe quintuplicare da 2 casi per 100.000 abitanti l’anno a 10 su 100.000. «Il nostro studio ha dimostrato che il pericolo di febbre di Dengue destinato ad aumentare in Europa per il cambiamento climatico», riassume Hunter. E «l’eccesso di rischio – precisa – cadrà quasi completamente sulle zone costiere di Mediterraneo e Adriatico e sulla parte nord-orientale dell’Italia, in particolare la Pianura Padana».

Gli studiosi ammettono che il loro lavoro ha un limite, poiché i dati usati sono relativi al Messico dove l’alternanza estate-inverno (che incide sul ciclo di vita delle zanzare) diversa rispetto all’Europa. «Tuttavia – conclude Hunter – le autorità sanitarie delle aree più a rischio dovrebbero pianificare, potenziare e valutare sistemi di sorveglianza sulla popolazione delle zanzare e di monitoraggio clinico da parte dei medici. Inoltre, sarebbe opportuno diffondere la consapevolezza di un possibile aumento del rischio tra gli operatori sanitari e i cittadini».

Intanto, un caso di Dengue stato accertato a Cesena dai sanitari dell’Ausl della Romagna. Un cesenate proveniente dall’Oriente, a distanza di due giorni dal suo rientro in Italia, ha avvertito sintomi quali febbre alta, dolori articolari e muscolari e mal di testa. Abituato a viaggiare per motivi di lavoro, non ha sottovalutato la situazione e si rivolto al Day hospital Malattie Infettive dell’ospedale Bufalini dove, con la collaborazione del dipartimento di Sanitò pubblica di Cesena, sono state avviate le procedure per gli accertamenti specifici. Poiché i sintomi erano compatibili con quelli causati dal virus Dengue e la persona aveva soggiornato in Oriente dove questa malattia endemica, stato eseguito il prelievo di sangue che in serata ha confermato la malattia. Contestualmente gli operatori del Dipartimento di Sanità pubblica, insieme agli operatori del Servizio tutela dell’ambiente e sicurezza del Comune, hanno sottoposto ad accurata ispezione il giardino dell’abitazione del cittadino che ha contratto la malattia, il cui esito – rileva l’Ausl – «non ha evidenziato presenza di zanzara tigre e neppure di focolai attivi per lo sviluppo delle sue larve. Nell’area limitrofa alla stessa abitazione stata peraltro rilevata una buona gestione delle aree private, che ha limitato la proliferazione di zanzare».