Coldiretti lancia l’allarme per la frutticoltura polesana

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giuriolo comp 2Dalla crisi dei prezzi, Giuriolo e Sgarbi denunciano il rischio per l’economia del territorio

«Stiamo andando, nel totale disinteresse, verso la sparizione dei nostri frutteti, con ricadute che saranno disastrose in termini economici, sociali e occupazionali. Veniamo da anni di crisi continua dei prezzi e di eventi calamitosi» dichiara Giampaolo Sgarbi, frutticoltore e presidente della zona Coldiretti Fiesso, territorio dove stanno scomparendo i frutteti dalle campagne.

La frutticoltura sta soffrendo una crisi strutturale: prezzi alla produzione che non retribuiscono i costi, speculazioni lungo la filiera con rincari immotivati, crollo dei consumi (meno 30% di frutta e verdura negli ultimi 15 anni), grandinate al momento dei frutticini e piogge prolungate durante la maturazione estiva che hanno compromesso i raccolti e la conservazione; camionate di frutta che arriva dall’estero in tutte le stagioni, senza controllo; e per finire, ora l’embargo russo sulle importazione agroalimentari dalla Ue: circa due milioni di euro in frutta e ortaggi esportati nel 2013 (dati Eurostat). Sono già stati bloccati i camion della Cofrutta di Giacciano, la maggiore realtà cooperativa ortofrutticola polesana che vede congelarsi tutti i contratti in essere con Madre Russia, unico canale commerciale che dava fiato al mercato stagnante.

Si parla dello zoccolo duro della frutticoltura del medio-alto Polesine, fatta di aziende rivolte ai mercati generali, ai commercianti e alla grande distribuzione, non già di quelle strutturate per la “vendita diretta”, per le quali valgono logiche economiche diverse. Frutteti di pesche, nettarine, albicocche, pere, mele, kiwi. E si aggiungano le piantagioni di fragole, meloni e cocomeri.

«Ci vuole un impegno politico – ricorda il presidente provinciale di Coldiretti Mauro Giuriolo – per difendere queste produzioni che sono un patrimonio economico per tutto il territorio, e ancora, più controlli e trasparenza lungo le filiere produttivo-distributive, valorizzando i nostri prodotti eccellenti che provengono da territori unici. Vogliamo poter competere con gli altri paesi europei con le stesse regole e che si utilizzino mezzi tecnici uguali, almeno in ambito Ue. Ci auguriamo che il commissario europeo all’Agricoltura accolga la richiesta di Italia, Francia e Spagna per un intervento urgente a salvaguardia del settore».

«Occorre una forma di controllo sulle importazioni che tanti stati già applicano – aggiunge Sgarbi. – Cioè un tetto agli ingressi di frutta estera nel momento in cui va a maturazione quella nazionale. Non si può cominciare a staccare fragole o albicocche, quando i consumatori sono già stanchi di vederle e le hanno pagate, talvolta, molto profumatamente. Infatti, se al produttore le albicocche il commerciante le compra a 65 centesimi al chilo, sottocosto, al supermercato le si trova a anche a 3,20-3,90 euro. Ma non ho mai visto in vendita le nostre belle pesche, il calibro AA, per intenderci sono quelle di 21 centimetri di circonferenza».

«Il produttore di frutta è l’unico soggetto della filiera che lavora nella totale incertezza del suo reddito – aggiunge ancora Sgarbi – e questo è un insulto alla professionalità dei nostri frutticoltori. Incertezza perché subisce sia i prezzi bassi che i costi di produzione: non può stabilire il prezzo giusto per il suo prodotto che gli remuneri le spese vive, mentre il rivenditore di mezzi tecnici ha il suo listino; il commerciante che viene in campagna paga quello che vuole (ed ormai anche quando vuole) strozzando il produttore perché sa che l’invenduto andrà buttato. Anche il conferimento alle cooperative ha i suoi inconvenienti, perché la coop liquida l’anno successivo a quello di produzione, col rischio che il produttore si veda pagare un prezzo inferiore a quello che ha già speso per produrre e raccogliere».

«Non solo il prezzo basso alla produzione è un insulto alla professionalità del frutticoltore – conclude Sgarbi – ma è un’offesa anche al consumatore, che nonostante questa situazione, è costretto a pagare la frutta anche del 400% in più di quello che è costata alla produzione, senza che questo surplus arrivi ai frutticoltori. E, intanto, le aziende chiudono e sarà un danno economico immenso per l’indotto, per l’ambiente e per l’economia del territorio in generale».