I flussi migratori indiscriminati potrebbero portare il focolaio in Europa. Inghilterra e Usa applicano misure di prevenzione. Zaia: «indispensabile tutelare la nostra popolazione»
L’epidemia Ebola, la febbre emorragica per la quale al momento non esiste alcuna cura che porta alla rapida morte i soggetti che dovessero esserne contagiati, «sta avanzando più velocemente dei nostri sforzi per controllarla. Se la situazione continua a peggiorare, le conseguenze possono essere catastrofiche in termine di vite perse, ma anche di danni socioeconomici, con un alto rischio di propagarsi ad altri Paesi» ha sottolineato la direttrice generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, Margaret Chan, in un meeting con i presidenti di Guinea, Liberia, Sierra Leone e Costa d’Avorio.
Un incontro che, nelle intenzioni della Chan, «deve rappresentare un punto di svolta nella risposta» al virus Ebola. Questa, ricorda Chan, è «la prima epidemia di Ebola in Africa occidentale. Un’epidemia senza precedenti, che pone sfide senza precedenti. E’ la più grande in 40 anni di storia della malattia, per numero di casi e decessi, 1.323 e 729 vittime, e per grandezza delle aree colpite». Non solo: è stato contagiato «un gran numero di medici e infermieri, una delle risorse più importanti per contenere un’epidemia. Oltre 60 operatori sanitari hanno perso la vita nell’aiutare gli altri». Servono campagne di comunicazione e di educazione della popolazione, a cura di esperti, afferma la Chan, e a seconda della situazione, «i governi possono dover limitare, per esempio, gli spostamenti delle persone o le adunate pubbliche. L’epidemia può essere contenuta, la catena di trasmissione spezzata: dobbiamo farlo, insieme».
La situazione ha destato la preoccupazione di numerosi governi occidentali, tanto che Inghilterra e Usa hanno già intrapreso azioni di controllo e prevenzione. Anche in Germania si è in allerta, anche a causa del primo caso di Ebola registrato in territorio tedesco. In Italia è corsa alle dichiarazioni tranquillizzanti del ministro alla salute Lorenzin. La Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (Simit) in una nota afferma che la diffusione del virus Ebola in Italia sia «improbabile». A sostegno di questa affermazione, scrivono gli esperti, si ricorda che i focolai di infezione si generano attraverso la trasmissione del virus da parte di un animale ospite in aree prossime alla foresta, lontane da aree metropolitane e dagli aeroporti internazionali. Inoltre la malattia si manifesta nella maggioranza dei casi con gravi sintomi che obbligano il malato al letto e ne impediscono gli spostamenti. Tenuto conto anche della relativa brevità dell’incubazione, l’ipotesi che l’infezione possa giungere via mare con persone che, partite dalle zone interessate dall’epidemia, abbiano attraversato il nord Africa via terra per poi imbarcarsi verso l’Europa destituita di fondamento. «L’infezione da virus Ebola solo una delle numerose infezioni emergenti segnalate negli ultimi anni – spiega Massimo Galli, infettivologo SIMIT, Dipartimento di scienze biomediche e cliniche “L. Sacco” di Milano – Di alcune di esse, come la SARS e la MERS, sono stati osservati in Italia solo casi importati, senza che si generassero nuove infezioni nel paese. Altre invece sono presenti in Italia, come la febbre da virus “West Nile”, mentre un’epidemia di febbre da virus “Chikungunya” stata registrata in Romagna nel 2007».
Dichiarazioni che non tranquillizzano affato il governatore del Veneto, Luca Zaia che torna sul tema della necessità di verifiche sanitarie accurate sia per i profughi in arrivo in Veneto sia per i luoghi designati per la loro accoglienza. «Senza voler fare allarmismi – ha detto Zaia -, in Germania, che non mi sembra un Paese del terzo mondo, si verificato il primo caso di Ebola, mentre a Treviso, c’stato il caso di una donna morta per Tbc e di bambini infettati. Non vogliamo assolutamente fare la scelta di convivere con le malattie: se non verranno stabilite garanzie per i Veneti, faremo un muro talmente alto da essere invalicabile».
«Gli annunci di queste ore – ha aggiunto Zaia – suonano quasi come una rassegnazione. Ma noi non ci rassegniamo: ripetiamo che in questo campo abbiamo gridato. Non perché non siamo ospitali, ma non vogliamo più profughi, finché anche le altre regioni non raggiungeranno l’11% di immigrati sulla popolazione totale. Anche perché sui duecentomila disoccupati veneti, 35-40.000 sono immigrati e preferisco occuparmi di loro, che hanno perso il lavoro, piuttosto che di nuove persone in arrivo ora qui».