Si studia se la causa sia da imputarsi ai cambiamenti climatici o all’impiego di prodotti fitosanitari
Il fenomeno dello spopolamento degli alveari, osservato quest’anno in molte famiglie presenti sul territorio della regione Friuli Venezia Giulia, si è manifestato con caratteristiche differenti rispetto ai casi di moria verificatisi in passato, rendendolo difficilmente riconducibile solo a fattori climatici o a intossicazione da prodotti fitosanitari.
Lo rileva la Direzione salute della Regione, a seguito di un confronto per analizzare le cause delle morie di api, che si stanno verificando a partire dalla fine di marzo. All’incontro hanno partecipato esperti del servizio sanità pubblica veterinaria, del servizio produzioni agricole della Direzione attività produttive, dell’ERSA, del Centro di referenza nazionale per l’apicoltura, nonché dei servizi veterinari delle Aziende sanitarie e del Laboratorio apistico regionale, assieme a rappresentanti dei consorzi provinciali degli apicoltori ed ad alcuni apicoltori.
In particolare, sono apparsi insoliti l’estensione uniforme del fenomeno e il comportamento delle famiglie di api sopravvissute, che appaiono costantemente poco numerose e poco produttive, nonostante negli alveari la covata allevata sia abbondante e la flora nettarifera circostante sia rigogliosa. Inoltre è apparsa allarmante la previsione che questo pesante stato di indebolimento delle famiglie, unito all’azione di parassiti e virus e all’arrivo della stagione meno favorevole, possa comportare un’ulteriore grave perdita di alveari.
Il centro di referenza nazionale per l’apicoltura, il servizio sanità pubblica veterinaria attraverso le aziende per i servizi sanitari e l’ERSA continueranno l’attività di monitoraggio già intrapresa sui casi di spopolamento segnalati dagli apicoltori per valutare misure preventive per contenere il fenomeno. Secondo il consorzio apicoltori, nel solo territorio della provincia di Udine la produzione del miele ha subito un crollo vertiginoso, quantificabile al 70%, con un danno economico di circa 1,5 milioni di euro, senza calcolare i danni indotti sull’agricoltura per la ridotta attività d’impollinazione delle piante da frutto.