L’acustica migliore del teatro rispetto alla piazza valorizza le sonorità del cantautore
di Giovanni Greto
A cinque anni di distanza, Paolo Conte è ritornato a Venezia per esibirsi non più in piazza San Marco, ormai vietata alla musica, tolto il periodo carnevalizio, bensì al teatro La Fenice, godendo in tal modo di un’acustica migliore, molto più adatta alle suadenti sonorità del suo repertorio e ad una vocalità sussurrata, confidenziale, quasi un’ apertura verso amici sinceri.
Rispetto alla precedente esibizione, il suo organico è cresciuto, passando da 8 a 10 musicisti, affiatatissimi e pronti a cogliere le possibili, impreviste variazioni del leader.
Il concerto, frutto della collaborazione tra l’Associazione Veneto Jazz, anteprima del Venezia Jazz Festival, e della direzione del teatro che lo ha inserito nella sezione “Altre Musiche”, del lungo festival “Lo spirito della musica di Venezia”, si è sviluppato in due tempi di 40 minuti e di 7 canzoni ognuno , con la coda di un inevitabile bis. Tre chitarristi acustici – accanto a Daniele Dall’Omo i due nuovi Nunzio Barbieri e Luca Enipeo – hanno dato vita ad un’agguerrita introduzione nello stile del leggendario Django Reinhardt, per dar tempo agli altri musicisti di salire sul palco, mantenere un ostinato giro armonico finché Conte fa il suo ingresso, riceve un lunghissimo applauso, ed intona “Cuanta Pasion”. Ma sono i brani più amati dei dischi di maggior successo ad eccitare la platea. Ed ecco allora “Sotto le stelle del Jazz”, in una versione “early Jazz”, in cui affiora il fruscio delle spazzole particolarmente swingante di Daniele Di Gregorio, mentre l’ottima sezione fiati – Luca Velotti al clarinetto e al sax tenore, Lucio Caliendo all’oboe, Claudio Chiara ai sassofoni – riporta ad antiche atmosfere. Una velocissima “Comedi” vede Conte imboccare il kazoo e precede “Alle prese con una verde milonga”, leggermente latineggiante. Il primo tempo si conclude con “Bartali”, “Moresca-paso doble”, in cui Conte si avventura con buoni risultati a suonare la marimba a mazzuoli singoli e “Le chic et le charme”, cantata in francese e ancora una volta ravvivata dal kazoo.
Un lungo intervallo, necessario ad un musicista ormai vicino agli ottanta, consente di ripartire con rinnovato vigore. Ed ecco “Dancing”, in cui l’attento Jino Touche abbandona il contrabbasso per passare al basso elettrico, finché, dopo l’amatissima “Via con me”, in cui i quarti di ogni misura vengono scanditi dalla platea, si arriva a “Diavolo Rosso”, caratterizzata dalla fisarmonica di Massimo Pitzianti e dal violino di Piergiorgio Rosso. Il concerto si conclude con “Max”, in cui risaltano la fisarmonica, il clarinetto e l’oboe. Ma il pubblico non è ancora sazio. Conte ritorna e si congeda con un brano tratto da “Una faccia in prestito”. Gli applausi continuano nella speranza di un secondo bis. Conte riappare, si inchina e fa un gesto come per dire “basta così”: la saggezza dell’età matura, quando si capisce che per mantenersi in forma non bisogna cedere alle richieste, pur se insistenti, col rischio di terminare in maniera affannosa.