“…Io la Musica son!” Monteverdi ai Frari

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Tomba-di-Claudio-Monteverdi-ilnordestLa musica del compositore analizzata e fatta comprendere nel suo significato più profondo
di Giovanni Greto

Il breve ciclo di concerti (5), “…io la Musica son!” Monteverdi ai Frari”, da poco conclusosi, ha proposto un approccio musicale alla musica di Claudio Monteverdi (1567-1643), rispettoso e di profonda ammirazione, cercando di comprenderne il significato più profondo. Si è trattato del primo progetto, firmato dall’Associazione Venice Monteverdi Academy – AVMA -, da poco costituitasi per celebrare, a 400 anni di distanza dalla sua nomina a Maestro di Cappella in San Marco a Venezia (19 agosto 1613), l’attività del celebre compositore, facendo tesoro di una famosa citazione attribuita a Giuseppe Verdi, “Torniamo all’antico e sarà un progresso”, termine quest’ultimo inteso nell’accezione di procedere, fare passi avanti, aprire nuove vie.

Intento dell’AVMA è quello di creare un organismo vocale e strumentale che affronti l’interpretazione del repertorio monteverdiano ma non solo, ponendosi come obiettivo l’ideale musicale di Monteverdi stesso, che si rifaceva all’antica tradizione del far musica, del produrre musica, ma soprattutto dell’’essere’ musica. Così si spiega la citazione iniziale del festival, “…io la musica son!”, tratta dal prologo dell’opera ‘Orfeo’(1607).

Intenso ed emozionante l’ascolto del ‘Vespro della Beata Vergine. Da concerto composto sopra canti fermi (Venezia, 1610)’, dedicato dal compositore a papa Paolo V e inviato “in esame” alla Procuratoria di San Marco, mentre prestava ancora servizio presso la corte di Mantova dei Gonzaga. Il folto pubblico presente nella Basilica dei Frari, cui non è parso vero, a fine concerto, di poter visitare e fotografare la tomba in cui il musicista venne sepolto nel 1643, ha applaudito con ardore il Venice Monteverdi Academy Choir, la Schola Gregoriana Reale Corte Armonica Caterina Cornaro, l’Orchestra da camera Lorenzo Da Ponte su strumenti antichi, tutti diretti con personalità da Roberto Zarpellon, direttore artistico del Festival. L’acustica della Basilica si è dimostrata particolarmente adatta ad accogliere e diffondere con calore e limpidezza le voci degli artisti, impegnati anche in mottetti a voci sole e capaci, in quello finale ‘Audi coelum’, di valorizzare la tecnica dell’eco, a quei tempi molto in voga. Ottimo l’ensemble strumentale, che ha consentito di conoscere ed ascoltare strumenti poco utilizzati come i cornetti e i tromboni antichi.

Interessante, l’unico concerto tenutosi in una sede diversa, la storica Scuola di San Rocco, nella quale attualmente i dipinti del Tintoretto dialogano con i teleri di Emilio Vedova. Il quartetto d’archi austriaco guidato dal violinista Thomas Christian che lo fondò nel 2003, ha eseguito i primi tre quartetti per archi del veneziano Gian Francesco Malipiero (1882-1973). Il Quartetto n. 2, eseguito per primo, ‘Stornelli e Ballate’, risale al 1923 e ricalca la forma del numero 1. Il titolo richiama una forma lirica popolare, lo Stornello, solitamente adoperato per improvvisazioni su argomenti satirici o amorosi, accostato alla Ballata, una delle più diffuse forme poetiche, rimasta in uso nel corso dei secoli, per esprimere sentimenti ed affetti. Il Quartetto n. 1, ‘Rispetti e Strambotti’, composto nel 1920, richiama due antiche forme metriche tipiche tanto della letteratura, quanto dell’espressione popolare, comparse nel XIII secolo e simili tra loro. L’ultimo Quartetto, ‘Cantari alla Madrigalesca’, risale al 1931. E’ suddiviso in 6 episodi, ampi e contrastanti nel suscitare sentimenti di gaiezza, accostata alla malinconia. Puntuali negli attacchi, dotati di una sonorità limpida e di un timbro gradevolissimo, i musicisti sono stati seguiti con attenzione dal pubblico, che ha tributato applausi scroscianti, ottenendo un ultimo bis.

Il concerto conclusivo, ‘Stylus Antiquus’, ha visto il Coro polifonico di Santo Spirito, di Ferrara, fondato nel 1986 e diretto da Francesco Pinamonti, avvocato con la passione per la musica, eseguire con maestria la ‘Missa Papae Marcelli’ di Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525-1594), il ‘Miserere’ di Gregorio Allegri (1582-1652) e alcune composizioni tratte dalle ‘Sacrae Cantiuncolae’ e dalla ‘Missa quatuor vocibus’ di Claudio Monteverdi, oltre ad ‘Adoramus te, Christe’ e la possente ‘Cantate Domino’, appaluditissima e ripetuta come bis. Un buon festival, dunque, che siamo certi si ripeterà, magari con un programma ancor più ricco e articolato.