Credito, prestiti negati ad un quinto delle PMI. Per 6 su 10 l’accesso è più difficile

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massimo-pavin-presidente-confindustria-padova-ilnordestIndagine Confindustria Padova, secondo cui il 59,6% delle imprese denuncia grosse difficoltà a ottenere prestiti. Respinto il 17,3% delle richieste, 20,7 tra le piccole imprese. Condizioni più gravose per il 41,2%

Non si arresta la restrizione del credito alle imprese. La stretta complica non solo gli investimenti, ma l’ordinaria gestione delle aziende e ne mette in pericolo la sopravvivenza. Difficile dire quanto concorrano l’inasprimento delle garanzie e l’alto costo del credito, quanto la debolezza della domanda effetto della recessione. Il risultato è che l’accesso al credito è più difficile per 6 imprese su 10. E a farne le spese sono soprattutto le piccole aziende.

Il 53,1% delle imprese padovane ritiene che il rapporto con le banche sia peggiorato negli ultimi sei mesi. Le maggiori difficoltà sono costi elevati del credito (20,9%), eccessive garanzie richieste (19,5%), scarsa comprensione delle esigenze aziendali (10,5%). Quanto all’esperienza diretta di chi ha richiesto nuovo credito, il 59,6% denuncia grosse difficoltà di accesso. Sono molte le leve della stretta: concessione più selettiva, costi elevati, riduzione dell’importo degli affidamenti e, in qualche caso, richiesta di rientro.

Questa è la preoccupante istantanea presa dalla sesta indagine “Pmi e condizioni di accesso al credito” realizzata da Ufficio Studi Confindustria Padova, in collaborazione con Fondazione NordEst, nel mese di aprile su un campione di 356 aziende e riferita agli ultimi sei mesi.

Il corto circuito banche-imprese, ovvero credito costoso e difficile da ottenere, accentua le tensioni finanziarie di molte imprese, pesa sulla gestione corrente e sul clima di fiducia, finendo con il deprimere la stessa domanda. È non è valso, al momento, il taglio dei tassi da parte della Bce a riattivare l’immissione di liquidità nell’economia reale.

Preoccupa in particolare il giro di vite sui nuovi affidamenti: negli ultimi sei mesi le banche hanno respinto il 17,3% delle richieste di credito presentate dalle imprese – il 20,7% nella classe 10-19 addetti – un dato superiore di 4 punti rispetto a maggio 2012. Si attesta al 41,2% la quota di aziende a cui il credito è stato concesso, ma a condizioni più gravose: aumento delle garanzie reali o personali (o dei Confidi), riduzione dell’ammontare del prestito richiesto, maggiori costi. Il 40,4% lo ha invece ottenuto alle condizioni abituali. La stretta colpisce in misura maggiore le microimprese (62,8%) e quelle con 10-19 addetti (65,5%) e allunga incertezze sulla liquidità disponibile per il fabbisogno corrente. Quanto agli affidamenti già in essere, la riduzione dell’importo ha interessato il 16,7% delle aziende.

Tra le imprese padovane c’è ancora uno zoccolo duro determinato a investire per crescere: il 25% di chi ha richiesto nuovo credito lo ha fatto per nuovi investimenti (34,7% a maggio 2012), e il 31,3% (dal 21,4) per le aumentate necessità di circolante. Ma la prima ragione della domanda di credito bancario, per il 32,7% delle imprese, sono le sofferenze di liquidità. Da rilevare infine la quota maggioritaria, pari al 64,8%, che non ha richiesto nuovi affidamenti. Un segnale di autonomia finanziaria, per alcune. Più realisticamente di incertezza e di scarsa fiducia nelle prospettive dell’economia, o di rinuncia. La richiesta di rientro totale o parziale degli affidamenti ha interessato un’azienda su dieci.

Secondo il presidente di Confindustria Padova Massimo Pavin “siamo entrati in un circolo vizioso che amplifica gli effetti della recessione, l’inizio di una terza fase di credit crunch. Le banche sono sempre più selettive nell’erogare credito, a fronte di requisiti di capitale più stringenti e aumento delle sofferenze, i prestiti calano, i tassi salgono. Il tasso medio dei prestiti alle imprese, rileva Banca d’Italia, è pari al 3,5%. Ma è solo la media: un prestito fino a un milione di euro a 5 anni ha un tasso del 6-7%. Livelli troppo alti e in salita che stanno spingendo molte imprese a rinunciare a chiedere credito. Ma l’economia reale non può crescere se non è finanziata. Serve uno shock che rilanci la fiducia, uno sforzo congiunto di governo, banche e imprese per spezzare la spirale negativa del credito e immettere liquidità nel sistema. La misura cruciale è il pagamento immediato di almeno i due terzi dei debiti della PA: sarebbe il più potente stimolo alla ripresa. Ma anche agire con determinazione in Europa per rivedere i vincoli patrimoniali imposti alle banche a fronte dei prestiti alle imprese, che hanno finito per aggravare il credit crunch”.

Per il presidente degli industriali patavini “con le regole di Basilea 3, che costringono le banche ad accantonare capitale in proporzione ai prestiti significa che c’è una parte di liquidità che non può essere impiegata per l’economia reale. Agire per la crescita significa – prosegue Pavin – alleggerire quei parametri o comunque diluire l’orizzonte temporale per raggiungerli, e di conseguenza liberare liquidità. Ma anche far affluire una parte cospicua della nuova iniezione di liquidità della Bce nelle imprese che producono, rischiano, innovano. Alle banche chiediamo di non chiudere i rubinetti in modo indiscriminato. Possibile che dopo cinque anni di crisi cerchino ancora solo nei bilanci il merito di credito delle aziende? Guardino anche, senza pregiudizi, idee, mercati, business, potenzialità di nuove imprese”.