Convegno per il rilancio del settore a Trento nell’ambito della 77ª Mostra Vini del Trentino
La comunicazione nel settore della ristorazione si traduce con la parola “accoglienza”. Questo il senso del convegno “Indovina chi comunica a cena? Nuovi modi di promuovere la ristorazione”, in programma nel cartellone della 77ª Mostra vini del Trentino e organizzato da Trentino Sviluppo. Difficile, però, riassumere in poche parole i molti spunti usciti da un parterre di relatori di primo livello, Paolo Marchi, Davide Scabin, Enzo Vizzari e Luigi Cremona, che si sono interrogati, stimolati dalle domande del moderatore Cristiano Seganfreddo, sulle nuove frontiere della ristorazione italiana e trentina. Con una domanda di fondo: come veicolare al meglio e in modo efficace l’immagine dei nostri ristoranti?
“Fare” prodotti di qualità è importante anzi fondamentale; poi però bisogna anche saperli comunicare correttamente, in un mercato sempre più globalizzato e nel quale i nuovi media stanno giocando la parte del leone. Internet, siti di recensioni, social network come Facebook o Twitter: tutti “luoghi” virtuali dove non basta esserci, ma occorre anche una marcia in più. E qualcosa da dire. ”L’Italia ha bisogno di wake up, di svegliarsi, in tutti i settori – ha detto in apertura il moderatore Cristiano Seganfreddo, introducendo la discussione – il gap con altri paesi attualmente esiste non solo a causa delle speculazioni della finanza, ma anche per la mancanza di una corretta comunicazione delle eccellenze che l’Italia possiede. Certo, il digitale non è la panacea di tutti i mali, ma è un punto di partenza che deve sposarsi con concetti come qualità, identità e innovazione, ben sapendo che la comunicazione non è solo pubblicità, ma un atteggiamento più ampio. Partendo da queste premesse, proviamo a fare una panoramica del settore della ristorazione versione 2.0”.
Per Enzo Vizzari, direttore delle guide dell’Espresso, “il quadro nazionale non è dei più confortanti. Fra i ristoranti che entrano nella Guida, conto negli ultimi due anni più chiusure e ridimensionamenti che nei dieci anni precedenti. Sono tempi difficili, ma non è l’unica spiegazione: troppi hanno pensato che per fare il ristoratore bastasse saper cucinare. C’è, in questo senso, carenza di imprenditorialità”. Parole confermate da Davide Scabin, chef del ristorante Combal.Zero di Rivoli (To): “non è più sufficiente essere artigiani, ma serve organizzazione, soprattutto in fascia alta, un livello che richiede anche dinamiche di immagine, con l’organizzazione di congressi e tavole rotonde. Deve partire uno stimolo a rivedere il modello, dalla scelta delle materie prime alla politica dei prezzi con un occhio più attento alle potenzialità del turismo italiano: siamo stati da sempre un popolo di trattori e non di ristoratori. Occorre più organizzazione, il modello familiare non basta più; le nonne sono una risorsa incredibile, ma non più sufficienti”.
Paolo Marchi, patron di “Identità Golose” ha aperto ulteriormente il campo di discussione: “giusto interrogarsi sulla ristorazione, ma in Italia il problema è più generale; è un problema anche di politica, soprattutto di scelte turistiche a livello nazionale. È vero anche che tra ristoratori non si fa sistema, perché siamo subito pronti a parlare male dei colleghi, mentre invece sapere mandare avanti i migliori fa crescere tutto il movimento”. Non solo le istituzioni, però. In Italia manca imprenditorialità. Ne è convinto Luigi Cremona, critico gastronomico: “i prodotti in Italia ci sono, il problema è che ci stanno scippando la ristorazione perché il ‘Made in Italy’ è un marchio vincente all’estero, solo che viene sfruttata da stranieri, mentre gli italiani latitano. Colpa del nanismo imprenditoriale; pensiamo che la cucina italiana è la più amata nel mondo e questo la dice lunga”.
Cosa possono fare i ristoratori italiani, soprattutto locali, per uscire da questo letargo? “Occorre in primis fare sistema – ha spiegato Vizzari – a livello di categoria e di territori. Non c’è una ricetta indifferenziata perché i problemi evidenziati sono a livello di sistema-Italia. La filiera agroalimentare e turismo è l’unica risorsa forte del nostro paese per il futuro; sinora non è stata sfruttata a dovere. Serve una cultura maggiore, partire dal marketing e arrivare alla comunicazione e al web”. ”Non siamo capaci di fare sistema, siamo individualisti – è l’opinione di Davide Scabin –. Manca il passo degli attivatori, imprenditori che si svegliano e danno quel qualcosa in più, figure di spicco che prendano in mano la situazione e facciano da punto di riferimento. Non continuiamo a dare colpa alle istituzioni, sono i privati a dover cambiare passo, smettiamo di essere alle elementari, dobbiamo andare all’Università”. Nel concreto, secondo Paolo Marchi: “i ristoratori del territorio devono essere più lungimiranti, investire sui servizi: pensiamo solo alla destagionalizzazione, ai servizi sui trasporti (ad esempio, a Torino nonostante le Olimpiadi di soli sette anni fa, è difficile trovare un taxi con la carta di credito), al settore conferenze-convegni. Fino alle cose più banali, dal sito internet con menù, prezzi, orari, magari in lingue straniere. In altre parole, puntare sull’accoglienza, un concetto ampio che riassume tutti i precedenti”.
Secondo Seganfreddo c’è una bella differenza fra fare comunicazione e dare informazioni. Dalla sala è arrivato un input dello chef Alfio Ghezzi a focalizzare il discorso anche sul ruolo della formazione. Ha risposto Marchi: “è essenziale, anche a livello di atteggiamento; il rigore, l’attenzione la gavetta si imparano anche a scuola”. Scabin: “Anche in questo senso non diamo colpa alle istituzioni, tocca a noi addetti ai lavori rivitalizzare gli istituti alberghieri e metterci a disposizione, andare a fare lezione, anche gratuitamente”. Vizzari estende “questo discorso ai tanti programmi tv sulla cucina: sono tanto deprecati, ma tutta questa attenzione fa bene alla causa, perché allarga la platea, le curiosità, i problemi”.