Secondo il Dipartimento delle Finanze, l’extragettito è stato di 1,2 miliardi. Per la Cgia di Mestre la somma reale è di 3,6 miliardi di euro.
La spremitura fiscale degli immobili condotta in modo selvaggio dal Governo Monti ha dato più dei risultati attesi: a fronte di una previsione iniziale di gettito di 21,4 miliardi di euro (successivamente ribassati a 20,4 miliardi a legge di stabilità approvata), quello reale è stato di 23,7 miliardi. Un extragettito notevole che secondo il Dipartimento delle Finanze ammonta a 1,2 miliardi, mentre per l’Ufficio studi della Cgia di Mestre sarebbe ben di 3,6 miliardi di euro (se si prende a riferimento il documento ufficiale presentato dal Dipartimento delle Finanze –Def- il 3 luglio 2012).
Comunque la si guardi, sono sempre dei bei soldoni in più estratti, spesso faticosamente, dalle tasche dei contribuenti.
Comunque sia e in attesa che si faccia chiarezza sull’effettivo ammontare dell’inatteso “gruzzoletto”, è necessario chiarirsi su come utilizzarlo al meglio. Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia, ipotizza un loro impiego: “al di là della dimensione dell’extragettito, quest’ultimo deve essere destinato ad evitare l’aumento della rendita catastale previsto quest’anno sui capannoni e a mantenere l’ulteriore detrazione di 50 euro per ogni figlio che sparirà dal 2014”. Il centrodestra si spinge più in là: “si evitino le tentazioni che già montano tra le fila del centro sinistra di alimentare nuova spesa facile e clientelare e s’impieghi l’extragettito come acconto per la restituzione di quanto pagato per la ‘Prima casa’ e, magari, anche per chi ha pagato per un piccolo ufficio o laboratorio artigianale” propone il senatore leghista Sergio Divina, secondo il quale “se l’alleanza di centro destra vince le prossime elezioni, l’impegno è quello di abbassare considerevolmente le tasse, abrogandone alcune durante l’arco della legislatura (dall’Irap all’Imu, specie quella sulla “Prima casa”) e riducendone altre (ad iniziare da quella sui redditi, arrivando a due sole aliquote del 23% e del 33%) in modo da lasciare più ricchezza nelle tasche di cittadini ed imprese per il risparmio, per la spesa e per gli investimenti”. Insomma, il peso del fisco si decide nelle urne.