Una struttura all’avanguardia per comfort, vivibilità e sicurezza che ospita 296 detenuti, di cui 220 stranieri
In vista della discussione della proposta di legge relativa all’introduzione del “Garante dei detenuti”, la Prima commissione del Consiglio provinciale di Trento si è recata in visita al nuovo carcere di Spini a Trento. Una struttura aperta l’anno scorso, costruita con i più moderni criteri riguardo a sicurezza, comfort e umanità della detenzione, che attualmente sopita 296 detenuti (di cui 12 donne), in gran parte (220) stranieri (59 tunisini, 48 marocchini, 21 albanesi, 21 romeni). A questi s’aggiungono 178 operatori addetti alla sicurezza e alla gestione della struttura carceraria.
Una struttura che sembra soddisfare le esigenze degli “ospiti”. “Questo carcere? E’ un hotel quattro stelle, per chi come me è appena stato a San Vittore, e in precedenza è stato recluso per esempio a Vigevano. Qui in cella abbiamo buoni spazi, possiamo respirare. C’è pulizia e c’è modo di fare una vita dignitosa”. Le parole tra le sbarre di un anziano detenuto maghrebino hanno detto più di tante altre ai legislatori provinciali in visita ufficiale alla nuova casa circondariale. Parole che hanno confermato come a Spini di Gardolo la provincia di Trento abbia davvero consegnato allo Stato un carcere modello.
“Una realtà con pochi eguali in Europa”, ha detto lo stesso Provveditore agli istituti di pena del Triveneto, Felice Bocchino, aggiungendo che “ha grosse potenzialità da esprimere, ma anche un grosso problema all’orizzonte: a fine anno la responsabilità e il costo di gestire tutti gli impianti passano all’amministrazione statale, temo che vivremo enormi problemi di copertura finanziaria”.
La Prima commissione permanente del Consiglio provinciale – ha spiegato subito il suo Presidente, Renzo Anderle – è andata a toccare con mano la realtà di questa “istituzione totale” con uno scopo preciso: fornire ai consiglieri tutti gli elementi di prima mano utili a sciogliere il nodo dei disegni di legge provinciale in discussione, attorno all’istituzione del Garante provinciale dei detenuti. Una figura di garanzia per la quale il Provveditore Bocchino ha spalancato le porte: “sarebbe utilissima, perché farebbe da cinghia di trasmissione tra il mondo dei detenuti, l’amministrazione penitenziaria e il mondo esterno, favorendo la soluzione di tanti problemi francamente irrisolvibili con le sole forze e le rispettive competenze attualmente in campo”.
Superata la cancellata d’ingresso, i commissari oggi hanno potuto vedere tutto, senza restrizioni: l’ampio teatro, la chiesa, lo spazio pronto per eventuale moschea (ma i detenuti islamici possono pregare liberamente anche in cella). Le cucine (dove a cucinare sono gli stessi ospiti della casa circondariale, sul cui lavoro ai fornelli vigila una commissione di “colleghi”) e ancora le lavanderie (un cambio biancheria ogni settimana). Nella palazzina direzionale, una sala di comando esibisce una schiera di grandi schermi tv, da dove un agente penitenziario tutto vede e tutto controlla (salva la privacy dentro le celle), accedendo luci e chiudendo porte con una serie di comandi domotici di ultima generazione.
Passando per saloni e corridoi – sempre con tanta luce e nessun senso d’oppressione – si giunge infine anche ai bracci dei detenuti, proprio mentre viene distribuito il rancio (non abbondantissimo, sussurra qualcuno). Nelle celle c’è una tv a muro, i letti, un piccolo bagno cieco, l’angolo per lavare i piatti, l’immancabile finestra col sole a scacchi.
Una delle preoccupazioni espresse dai consiglieri provinciali è stata quella del sovraffollamento di una casa circondariale fatta per 240 ospiti e già arrivata a 296. “Il problema – ha replicato il dirigente, Massimo Francesco – proprio non si pone, se solo si fa il raffronto con la situazione delle altre carceri italiane. Sì, ci sono 30/40 detenuti in più e stanze da 2 posti sono state adattate per 3, ma la vivibilità rimane molto alta. Suggerirei anzi di ragionare seriamente anche sul significato di una seconda, nuova struttura penitenziaria in quel di Bolzano. Più grave, qui a Trento, è semmai la carenza di organico del personale, questo sì”.