Zaia: “la Regione aveva ragione. L’importante è che ora il progetto parta al più presto”. 2,5 miliardi l’investimento previsto con oltre 2.000 occupati per il cantiere (700 i dipendenti a regime tra diretti e indiretti)
Dopo ben 13 mesi, da quando il Consiglio di Stato ebbe a ribaltare il giudizio del Tar del Veneto bloccando i lavori di trasformazione della centrale di Porto Tolle in località Polesine Camerini da gasolio a carbone, il Consiglio di Stato ha nuovamente deliberato a seguito dell’avvenuta modifica di legge, dando questa volta via libera ai lavori. In questo modo, dopo un iter iniziato nel maggio 2005, ora i cantieri potrebbero riaprire. Il condizionale è d’obbligo, visto che dal 2005 ad oggi la situazione energetica italiana è profondamente cambiata, con il boom della produzione fotovoltaica che ha sostanzialmente cambiato il mix produttivo energetico nazionale.
Se Enel confermerà l’impianto (e, a rigor di logica, dovrebbe farlo anche per diversificare l’attuale mix di approvvigionamento energetico nazionale che attualmente vede il carbone attorno al 12% quando la media europea è al 33%, contro il 60% assicurato da gas metano importato quasi tutto dall’estero), il cantiere di riconversione dell’impianto comporterà investimenti per 2,5 miliardi di euro per una durata di cinque anni, durante i quali saranno impiegati circa 2.000 lavoratori, dei quali a regime saranno 380 impiegati direttamente nell’impianto più altri 350 addetti alla manutenzione.
La sentenza è stata salutata positivamente dal presidente della regione Luca Zaia: “non mi interessa compiacermi con il classico ‘avevo ragione’ a proposito della vicenda della centrale Enel di Porto Tolle, ciò che conta davvero è che il Consiglio di Stato abbia finalmente posto fine, grazie anche all’intervento dei nostri giuristi, a una situazione di stallo che si trascinava da troppo tempo. Un dato però è inconfutabile: la Regione con il sottoscritto è sempre stata a fianco dei lavoratori, sia nei momenti difficili, quando le Cassandre versavano lacrime a fiumi prefigurando scenari apocalittici, sia oggi che si aprono prospettive incoraggianti sul fronte economico e occupazionale”.
I giudici di Palazzo Spada hanno infatti stabilito che l’amministrazione statale, nel porre in essere gli atti del nuovo procedimento amministrativo, dovrà applicare la nuova normativa regionale e statale che ha superato il blocco di cui alla sentenza dello stesso Consiglio di Stato n. 3107 del 23 maggio 2011. “Una sentenza – sottolinea Zaia – che premia la nostra decisione di modificare la legislazione regionale per superare i vincoli esistenti e che rilancia così il progetto di riconversione della centrale. Mi auguro che ora anche i più titubanti, per usare un eufemismo, tra quanti, sia politici sia tecnici, ritenevano inadeguata e inefficace l’azione della Regione del Veneto, non solo si ravvedano, ma soprattutto contribuiscano a svolgere un’azione di pungolo nei confronti del Governo e in particolare del Ministero dell’Ambiente, affinché il procedimento di VIA (Valutazione impatto ambientale) si completi il più presto possibile e l’Enel avvii con sollecitudine i lavori per la realizzazione di un’opera pubblica che rappresenta per il Veneto e per il Polesine in particolare, un’occasione di sviluppo irrinunciabile”.
Soddisfatti pure i sindacati, con Michele Bonanni della Cils che si augura che “il Governo si muova in tempi rapidi, dando il via ai cantieri nel più breve tempo possibile”. Positivo il giudizio anche da parte di Gian Michele Gambato, presidente di Unindustria Rovigo: “finalmente un segnale positivo per l’economia polesana, del Veneto e del Paese tutto”.
I lavori riguarderanno la conversione delle tre caldaie dell’impianto da 660 megawatt per adattarle al funzionamento a carbone in sostituzione dell’olio pesante, con vantaggi anche per la sicurezza degli approvvigionamenti, visto che, secondo il presidente di Assocarboni (associazione che annovera 80 aziende italiane operanti nel settore), Andrea Clavarino, “l’Italia é l’unico Paese al mondo che dipende per più del 60% nella produzione elettrica dal gas, importandone l’85% dall’estero, soprattutto da Algeria e Russia, Paesi esposti a rischi geopolitici, come l’attualità ci sta confermando”. Per Clavarino “l’Italia, dopo la rinuncia al nucleare, dovrebbe aumentare l’uso del carbone portandolo dall’attuale 12% ad una quota più europea (oggi al 33%). Il carbone si caratterizza per essere più competitivo sotto il profilo economico, disponibile in più di 100 paesi e per questo più sicuro dal punto di vista dell’approvvigionamento”. Anche il rischio palesato degli ambientalisti circa il maggior inquinamento ambientale derivante dall’impiego del carbone rispetto al gas metano viene smentito da Clavarino: “le centrali a carbone italiane sono un vanto tecnologico che il mondo ci invidia: per esempio, impianti come quello di Civitavecchia hanno efficienze del 46%, senza eguali nel mondo tranne che in Danimarca e in Giappone. Ben vengano quindi le conversioni a carbone di Porto Tolle, Vado Ligure (che porta anche 180 mW di rinnovabili) e l’impianto Sei in Calabria, tutti impianti leader al mondo con efficienze al 46% che oltre a portare migliaia di posti di lavoro possono concretamene ridurre il costo della bolletta elettrica oggi più alta della media europea di quasi il 30%”.
Dal canto suo, il mondo ambientalista è ancora sul piede di guerra: WWF, Legambiente e Greenpeace si riservano di fare ulteriori ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato per valutare l’effettiva compatibilità delle leggi italiane rispetto alla normativa europea.