La produzione enologica di 11 viticoltori presentata per la prima volta al pubblico fuori dei consueti schemi
La viticoltura trentina riparte dalle Dolomiti (Igt). Ma soprattutto riparte dai Dolomitici, l’associazione degli undici “Liberi Viticoltori”, così amano definirsi, che domenica 3 giugno a Castel Noarna, per la prima volta si presenteranno al pubblico e ai consumatori del Trentino. Loro sono: Castel Noarna, Cesconi, Elisabetta Dalzocchio, Elisabetta Foradori, Eugenio Rosi, Maso Furli, Molino dei Lessi, Pedrotti Gino, Poli Francesco,Vignaiolo Fanti, Vilar.
La presentazione dell’evento è avvenuta al castello di Sabbionara d’Avio per celebrare la loro prima bottiglia vinificata vendemmia 2010 che nasce in un vigneto a sud di Avio, a cavallo fra Trentino e Veneto. Si chiama “Ciso” ed è un Lambrusco a Foglia Frastagliata (o Enantio). Ed è stato prodotto dalle uve maturate in un campo vitato secolare, con ceppi franchi di piede, scampati alla tragedia della fillossera che distrusse la viticoltura europea nei primi decenni del secolo scorso. Una specie di parco monumentale della viticoltura. Un omaggio al territorio che ha dato i natali a questo nuovo-antico Lambrusco.
L’etichetta presentata in anteprima, riporta la dicitura IGT delle Dolomiti: questo non è un dettaglio, come ha spiegato il vignaiolo Fanti, uno degli undici “Liberi Viticoltori”. Per Fanti “la Doc non rappresenta più il Trentino vero, o meglio rappresenta un Trentino che non ci piace più. I disciplinari delle Doc trentine sono troppo larghi e permissivi e non raccontano il territorio. Per questo abbiamo scelto la via dell’Igt”. Quasi un’eresia, questa dichiarazione, se messa a paragone con il lavoro svolto dalla promozione istituzionale sulla Doc. Del resto, le stesse cose le ha affermate poco prima anche il presidente dei sommelier del Trentino, Mariano Francesconi: “wow, finalmente un’esperienza vera. Che racconta un territorio senza ricorrere agli effetti speciali. Perché quella dei Dolomitici è un’operazione non solo enologica: è un operazione che valorizza un territorio per quello che è realmente: un’operazione verità. Di cui c’era e c’è bisogno”. Francesconi non ne ha fatto cenno apertamente, ma non si faceva fatica a capire che il riferimento, anche nel suo caso, era alle Doc trentine, che ormai da più parti non vengono più considerate capaci di raccontare e di esprimere una suggestione seduttiva della territorialità. Anche se i toni della polemica sono stati evitati, il senso delle parole usate dai Dolomitici, per raccontare l’operazione “Ciso”, era facilmente rintracciabile.
Eugenio Rosi, quello che in molti considerano come il “Dio proletario” del Marzemino, anche lui della partita Dolomitica è chiaro: “non basta più essere operatori agricoli, e in Trentino quasi tutti i viticoltori sono solo questo. Bisogna essere prima di tutto uomini liberi, liberi di pensare. Questa è la precondizione anche per fare un vino vero, che sia portatore di verità. Un vino che parli da solo e in cui la mano dell’uomo sia solo uno strumento”. Stesso registro anche per Elisabetta Foradori, “Donna del Teroledego”: “insieme al vino, ci sono uomini. E gli uomini vengono prima del mercato. Vengono prima di qualsiasi altra cosa. Il mercato viene dopo, sono gli uomini e le donne a fare il mercato, a scegliere il mercato al quale rivolgersi. In Trentino in primo luogo c’è bisogno di verità, di verità e di cuore”. E quella del Ciso-Lambrusco a Foglia Frastagliata, è una storia prima di tutto di cuore. E di passione.
Tre anni fa il campo del Ciso (dal nome, Narciso, del vecchio contadino che lo aveva coltivato per una vita), stava per essere espiantato: “le motoseghe erano già pronte a fare il loro lavoro per lasciare posto ad un nuovo impianto di Pinot Grigio”. Fu in quel momento, che intervennero loro, i Dolomitici. Gli attori della viticoltura locale stavano alla finestra: l’espianto dei ceppi secolari franchi di piede, veniva vissuto come un evento inesorabile e inevitabile. L’allarme fu lanciato grazie all’intervento di un ricercatore di San Michele, Francesco Penner, uno di quegli studiosi, anche lui presente al Castello di Sabbionara, che hanno dedicato buona parte della loro vita alla tutela delle varietà autoctone. E fu a quel punto che i Dolomitici si fecero avanti facendosi carico della “Lambrusca Zicolada” del vecchio Ciso. E così iniziò l’avventura. Il campo oggi è in conversione biologica, la vinificazione è stata effettuata seguendo tecniche naturali, dando vita a 3.000 bottiglie. Che hanno già preso la strada dell’Horeca di mezzo mondo. Tutto questo e molto altro ancora, a partire da chi siano e cosa siano i Dolomitici e cosa sia la loro idea di territorio alternativa a quella delle Doc trentine, sarà raccontato domenica pomeriggio a partire dalle 14 a Castel Noarna: Ciso, polenta e lucanica per tutti.
Info su: www.idolomitici.com.