Doppio concerto al teatro Olimpico
di Giovanni Greto
Fa sempre piacere ascoltare un concerto, doppio per di più, al teatro Olimpico, dove un’acustica sensibilissima permette di udire il minimo respiro. Peccato che parecchi invitati accorrano per mero presenzialismo e le signore gradiscano inserire, tra un accordo e l’altro, il suono del loro tacco 12, a contatto con la pavimentazione lignea. L’ultima serata era incentrata sull’omaggio ad uno dei più grandi musicisti e compositori della storia del Jazz, Thelonious Monk, che ha influenzato e continua ad influenzare tutti coloro che si addentrano nell’indagine di una musica meravigliosa, spesso data per estinta e invece capace di trovare sempre nuovi stimoli. A rompere il ghiaccio, il sestetto di Franco D’Andrea.
Il pianista, come di consueto, evita una scaletta precisa, lasciando alla scelta di ora uno, ora l’altro attore, il compito di attingere da una serie di titoli – 9 in questo caso – comunicati durante il sound check. E’ la voglia di rischiare a mantenerlo giovane e a spingerlo alla ricerca di nuove soluzioni. Il gruppo è affiatatissimo, a partire dalla sezione ritmica, sicura e fantasiosa, specie nel batterista, che spesso dà inizio ai brani ritagliandosi precisi e melodici assolo. Quanto mai efficaci gli intrecci tra i fiati, fortissimi quando rievocano ellingtoniane sonorità ‘jungle’, utilizzando, è il caso del trombone, sordine differenti.
Si respira anche l’aria di New Orleans, grazie al frizzante clarinetto di D’Agaro. Il leader lascia suonare i compagni, solo alcuni cenni bastano a far cambiare le atmosfere. Il suo pianismo è originale, perfetto interprete di una lunga tradizione, essenziale, nel senso che D’Andrea conosce il senso della misura. Non cadrà mai in gigionerie, né assumerà arie di prim’attore, come succede a Bollani, o al pur bravo Chick Corea. Tra i brani eseguiti, l’iniziale ‘Epistrophy’, ‘I mean you’, il cui tema è esposto in un dialogo alquanto succoso dei fiati, il primo dei quali a lanciarsi negli assolo sarà il clarinetto, incalzato da riff e contraccolpi che lo arricchiscono, oltre a deviazioni apparentemente spiazzanti dalla linea base. Efficacissima anche la proposta di una ballad/blues, iniziata da un insistito contrabbasso con l’archetto, affiancato da piccoli tocchi del pianoforte che poi passa ai clusters, quando i fiati s’inseriscono con altri temi, per allontanare l’attenzione del pubblico, cercando di non far capire quale sarà il tema. E poi una capacità non certo facile, ma che così appare per la perizia dell’ensemble, di variare le dinamiche sonore.
Dopo circa 50 minuti, il sestetto si accomiaterebbe, ma i richiami a gran voce inducono D’Andrea ad una colorita versione di un classico, ‘Blue Monk’, eseguito a mo’ di fanfara o marchin’ band , come il jazz delle origini. E proprio ‘Blue Monk’, legato a ‘Round Midnight’, sarà anche il brano conclusivo del set dei tre pianisti. Tutti molto bravi, dal più anziano Kenny Barron, al più giovane Dado Moroni, senza dimenticare Mulgrew Miller, che ebbe anche la fortuna di partecipare ad un’edizione dei gloriosi Jazz Messengers di Art Blakey. Si respira un’aria ‘Mainstream’, c’è forse troppo swing, rispetto agli scarni dialoghi di Monk. Il set si snoda sia in pezzi suonati da tutti, che in duetto od assolo. Assai gustosi i frequenti breaks di quattro od otto misure fra i tre, che suonano in souplesse, danno vita ad intense improvvisazioni, anche se a volte appaiono un po’ stucchevoli, imbevute come sono di eccessivi quanto facili ornamenti. I tre suonano un po’ più di D’Andrea e come spesso succede nelle serate “doppie”, alcuni auditori abbandonano anzitempo la loro postazione, dando un colpo deciso all’attenzione di chi rimane. E’sempre successo all’Olimpico, come alla Fenice di Venezia e sempre succederà. E’ forse il caso di trovare una soluzione temporale diversa, oppure bisogna eliminare le doppie o triple esibizioni nella stessa serata? Il longevo festival, nelle parole di commiato del direttore artistico Riccardo Brazzale, dà appuntamento alla XVII edizione, dal 10 al 28 maggio 2013, all’insegna ‘Nel fuoco dei mari dell’Ovest’.