Prosegue alla Fenice di Venezia la stagione lirica con La bohème di Puccini

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Teatro la fenice 2012 La boheme
Teatro la fenice 2012 La bohemeVenerdì 11 maggio 2012 alle ore 19.00, sesto appuntamento della Stagione lirica 2012, andrà in scena al Teatro La Fenice La bohème di Giacomo Puccini, scene liriche in quattro quadri su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica tratto dal romanzo Scènes de la vie de bohème di Henri Murger.

Rappresentata per la prima volta al Teatro Regio di Torino il 1° febbraio 1896, secondo successo drammatico del trentottenne Puccini (dopo Manon Lescaut, del 1893), La bohème sarà riproposta nel fortunato allestimento di Francesco Micheli (regia), Edoardo Sanchi (scene), Silvia Aymonino (costumi) e Fabio Barettin (luci) presentato alla Fenice nel febbraio 2011.

L’opera si avvale dell’Orchestra e il Coro del Teatro La Fenice e il coro di voci bianche dei Piccoli Cantori Veneziani saranno diretti da Daniele Callegari, maestri del coro Claudio Marino Moretti e Diana D’Alessio (Piccoli Cantori). Del doppio cast faranno parte Kristin Lewis in alternanza con Sandra Lopez nel ruolo di Mimì, Francesca Sassu in alternanza con Francesca Dotto in quello di Musetta, Gianluca Terranova in alternanza con Khachatur Badalyan in quello di Rodolfo, Simone Piazzola e Seung-Gi Jung in quello di Marcello, Armando Gabba in alternanza con Alessio Arduini in quello di Schaunard, Gianluca Buratto in alternanza con Goran Jurić in quello di Colline; William Corrò sarà Benoît, Andrea Snarski Alcindoro.

La prima di venerdì 11 maggio 2012 sarà seguita da dieci repliche, che si alterneranno sul palcoscenico del Teatro La Fenice con le ultime recite della Sonnambula: sabato 12 alle 19.00, domenica 13 alle 15.30, mercoledì 16, venerdì 18, sabato 19, mercoledì 23, giovedì 24 e sabato 26 alle 19.00, domenica 27 alle 15.30 e martedì 29 alle 19.00. La recita del 26 maggio sarà riservata ai soci degli 84 club del Distretto 2060 (Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige) del Rotary.

Dopo l’affermazione ottenuta con Manon Lescaut (1893), il trentacinquenne Giacomo Puccini (1858-1924) prese in considerazione come soggetto per la sua opera successiva le Scènes de la vie de bohème di Henri Murger, un romanzo d’appendice pubblicato a puntate più di quarant’anni prima nella rivista parigina «Le corsaire Satan» (1845-1849), trasformato poi dallo stesso Murger e da Théodore Barrière in una pièce in 5 atti, rappresentata con successo nel 1849. La stesura del nuovo libretto per Puccini fu affidata dall’editore Giulio Ricordi ai letterati Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, un binomio artistico destinato ad affiancare il compositore lucchese per più di un decennio, fino a Tosca (1900) e Madama Butterfly (1904). Rappresentata al Teatro Regio di Torino sotto la direzione del ventinovenne Arturo Toscanini il 1° febbraio 1896, La bohème fu accolta con perplessità dalla critica, ma incontrò nelle riprese un sempre crescente successo di pubblico, tanto da divenire una delle opere più popolari di tutti i tempi.

Il libretto, un affresco in cui si alternano momenti di vivacità, d’intimità, di rimpianto per il tempo trascorso, di tristezza dolorosa, prevede sei personaggi principali: un quartetto di giovani amici (il poeta Rodolfo, il pittore Marcello, il musicista Schaunard, il filosofo Colline) e due fanciulle (Mimì, ricamatrice, e Musetta), tutti ricchi di simpatia e di entusiasmo quanto poveri di quattrini. Il dramma si conclude con la morte per tisi di Mimì tra le braccia dell’amato Rodolfo dopo una separazione ricomposta in extremis; ma più che di una trama vera e propria si può parlare di un susseguirsi di situazioni liriche accomunate da un tema unitario, la celebrazione della giovinezza.

Anziché suddiviso in atti e scene, il libretto è organizzato in quattro quadri, all’interno dei quali non vi è la consueta divaricazione tra recitativo e versi lirici, bensì una versificazione mobilissima e flessibilmente asimmetrica, in grado di stimolare una sintassi musicale non periodica. Nella partitura non mancano accensioni liriche memorabili («Che gelida manina») o pezzi riconducibili a forme chiuse («Vecchia zimarra»), ma i suoi pregi più evidenti sono la creazione di un continuum sonoro modellato sulle specifiche esigenze drammatiche del soggetto e l’invenzione di un tessuto musicale fittissimo e cangiante ove l’uso delle reminiscenze collega instancabilmente presente e passato, felicità e dolore.