Il salone più importante del mondo vitivinicolo doveva essere l’occasione del rilancio del vino trentino, che però nessuno ha visto
Il Vinitaly 2012 doveva essere l’occasione del rilancio del vino trentino, ma così non è stato, almeno per la maggioranza degli operatori e gli esperti del settore. Anche il momento istituzionale con la presenza dell’assessore provinciale all’agricoltura e commercio, Tiziano Mellarini, i vertici della Camera di commercio guidati dal presidente Adriano Dalpez e di Trentino Marketing non è riuscito a fugare l’impressione che l’attuale gestione del mondo vitivinicolo trentino abbia poche idee e assai confuse, cosa che contribuisce ancor di più l’idea di finanziare con 300.000 euro di denari pubblici un film attorno al Marzemino, sì uno dei vini simbolo della produzione enoica trentina, ma che rappresenta pur sempre un magrissimo 3% del totale della produzione locale. Sarà, ma se nelle intenzioni dei proponenti l’intenzione era quella di sollevare l’attenzione internazionale sul mondo vitivinicolo locale, meglio sarebbe stato finanziare un documentario sui produttori più caratteristici del mondo enologico locale, che non mancano affatto e sono pure conosciuti ed apprezzati all’estero.
Mentre ai piani alti delle istituzioni locali ci si balocca con improbabili sceneggiature cinematografiche, chi produce ogni giorno buon vino si domanda come fronteggiare un mercato sempre più complicato ed incomprensibile, dove a sparigliare al ribasso le carte contribuisce pure la cooperazione distributiva che nelle sue catene commerciali non manca mai di utilizzare vini della Doc Trentino come specchietto per le allodole, proponendo bottiglie di marca a prezzi da hard discount, con ciò rendendo un pessimo servizio al mondo del vino e pure a gran parte delle cooperative attive nella produzione vitivinicola, che costituiscono pur sempre una delle gambe portanti di una Federazione trentina della cooperazione ormai troppo impegnata nelle alchimie di potere per garantire il IV mandato consecutivo al presidentissimo uscente Diego Schelfi per accorgersi di ciò che accade intorno. Gestire commercialmente in modo così disinvolto le Doc, può tentare molti produttori a mollarle a favore dell’Igt Dolomiti, che semplifica di un bel po’ la burocrazia aziendale ed evita di dover spiegare ai consumatori e ai grossisti certe stranezze sui prezzi sui vini di qualità proposti allo stesso livello di una bevanda dissetante zuccherata prodotta industrialmente.
E se attorno ai registi del vino trentino si sollevano sempre più apertamente critiche (basti leggere quanto scrivono le penne corsare di Trentino Wine Blog, mai smentite ufficialmente), c’è da domandarsi cosa servano eventi locali come la Mostra del vino trentino in programma negli spazi del castello del Buonconsiglio a Trento, che parte con la già preannunciata diserzione (come peraltro l’anno scorso) della parte più significativa della produzione trentina che si riconosce nell’associazione dei Vignaioli. Mentre l’assessore Mellarini è impegnato nel dispensare bracciate di ottimismo, di “volemose bene”, di fiducia negli eventi attesi, è sotto gli occhi di tutti il marasma in cui naviga uno dei prodotti immagine dell’enologia trentina, quel Trentodoc di cui si parla sempre di rilanciare, salvo perdersi in un mare di chiacchiere che non portano a nulla, una situazione dove quelli del Prosecco e del Franciacorta ringraziano sentitamente. Anche le modalità di gestione del marchio Trentodoc è degno più di un club di attori improvvisati incapaci di seguire il copione che di dirigenti e manager ben pagati, dove su tutto sembra pagare la voglia di tirar sgambetti e calci negli stinchi per regolare ruggini più o meno antiche, buttando contemporaneamente dalla finestra vagonate di denari pubblici in progetti e studi che non portano a nulla di concreto.
Proprio l’encefalogramma quasi piatto delle strategie inerenti la regia e la promozione del vino “Made in Trentino” nulla può nonostante la massa di risorse disponibili grazie all’autonomia speciale. Ciò è un peccato, specie se si esce dai confini dello stand del Trentino e si va a fare una visita in quelli delle realtà territorialmente confinanti del NordEst, dove è facile accorgersi che la necessità ha aguzzato l’ingegno e valorizzato al massimo le poche risorse disponibili, incanalandole in pochi e condivisi progetti, dove la politica e gli operatori parlano la stessa lingua, preferendo i fatti alle parole e ai sogni. L’enologia del Veneto e del Friuli Venezia Giulia corrono sulla corsia di sorpasso, mentre quella trentina arranca sulla corsia di marcia lenta, pasciuta dalla mammella dell’autonomia speciale. Forse hanno più di una ragione quei Vignaioli trentini che hanno mollato il carro della promozione pubblica decidendo di far da sé: si vedrà se sapranno correre più veloci, almeno al pari della concorrenza del NordEst tanto per non allontanarsi troppo, dopo essersi liberati dalla zavorra inconcludente della politica e dei vari comitati che tanto parlano, salvo concludere poco, se non il decidere di tornare alle soluzioni buone già utilizzate vent’anni fa e poi inspiegabilmente abbandonate.