“Italian sounding” e agromafie: crescono i casi di imitazione dei prodotti alimentati “Made in Italy”

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Indagine di Coldiretti sulla contraffazione e pirateria nell’agroalimentare che causano danni per 72,5 miliardi di euro

Le falsificazioni dei prodotti agroalimentari “Made in Italy” e l’azione criminale delle organizzazioni criminali sono le vere spine nel fianco del settore agroalimentare, responsabili di una perdita annua totale al settore pari a 72,5 miliardi di euro.
I dati sono stati presentati da Coldiretti contenuti nella prima relazione della Commissione parlamentare sulla contraffazione e la pirateria nell’agroalimentare, alla presenza, tra gli altri, il ministro delle Politiche agricole Mario Catania, il procuratore antimafia Pietro Grasso e il presidente della Coldiretti Sergio Marini. Il volume d’affari delle agromafie ammonta a 12,5 miliardi di euro (pari al 5,6% dell’intero business criminale). Allarmante il problema della falsificazione e contraffazione: le imitazioni dei prodotti simbolo del “Made in Italy” a tavola (parmigiano, pecorino, prosecco, ecc.) spesso vengono commercializzate con nomi che ricordano quelli veri (“Italian sounding”). Il loro commercio sottrae all’export nazionale un grande volume d’affari: secondo le stime della Coldiretti, se si intervenisse contro questi “falsi d’autore” l’export agroalimentare (che ha registrato un forte calo nel 2011) potrebbe addirittura triplicare.
Per il presidente di Coldiretti Martini, se si contrastasse attivamente la falsificazione dei prodotti italiani si potrebbe dare un consistente contributo alla bilancia commerciale nazionale, puntando a giungere a un pareggio della bilancia commerciale del settore agroalimentare italiano, a importazioni invariate, sarebbe sufficiente recuperare quote di mercato estero per un controvalore economico pari al 6,5% dell’attuale volume d’affari del cosiddetto “Italian sounding”, ovvero quei prodotti con nomi che “suonano come italiani”, ma che italiani non sono affatto e che invece costano all’economia del nostro Paese ben 60 miliardi di euro all’anno. La pirateria alimentare colpisce indiscriminatamente prodotti Doc e Dop: dai vini all’olio, ai formaggi, ai salumi. A livello internazionale sono stati scoperti pomodori San Marzano coltivati in Usa al “Parma salami” del Messico, dal “Parmesao” del Brasile allo “Spicy thai” pesto statunitense, dall’olio “Romulo” con tanto di lupa venduto in Spagna al “Chianti” prodotto in California, ma anche una curiosa “mortadela” siciliana dal Brasile, un “salami calabrese” prodotto in Canada, un “Barbera bianco” rumeno e il “Provolone” del Wisconsin.
Quello che spinge un’azienda straniera a proporre sul mercato prodotti che imitano la nomea italiana è l’ottenimento sul proprio mercato interno di un vantaggio competitivo rispetto alla concorrenza, associando indebitamente ai propri prodotti valori riconosciuti ed apprezzati dai consumatori stranieri, come quelli del vero “Made in Italy” agroalimentare, in primis la qualità. Una concorrenza sleale nei confronti dei produttori nazionali con il rischio che, soprattutto nei Paesi emergenti come la Cina, si radichi tra i consumatori un falso “Made in Italy” che non ha nulla a che fare con il prodotto originale e che toglie invece spazio di mercato ai prodotti autentici.
Oltre che di soldi, la lotta alla contraffazione significa anche posti di lavoro: si potrebbero creare fino a 300.000 nuovi posti di lavoro se si sostituisse il prodotto falso “Made in Italy” con quello originale dicono alla Coldiretti, per non dire del mancato gettito fiscale, di cui il Paese ha estremo bisogno di recuperare per alleggerire la pressione sui “soliti noti”.