Immigrati in sovrannumero e turn over: sono questi i principali problemi nelle carceri del Nordest
di Alessandro Macciò
Nonostante gli ultimi provvedimenti del Governo in materia, le condizioni di vita nelle carceri italiane restano particolarmente difficili, e il NordEst non è certo estraneo al problema. Per denunciare la situazione e sensibilizzare l’opinione pubblica, un cartello di associazioni venete ha esposto una cella carceraria di fronte al caffè Pedrocchi, nel cuore di Padova: la struttura, concessa dall’associazione “La Fraternità” di Verona, misura 12 metri quadrati e al suo interno, normalmente, ospita tre detenuti, costretti a condividere un bagno e un letto a castello. In occasione dell’iniziativa “Una cella in piazza”, cui hanno aderito Camera Penale di Padova, Cgil, Acli, Magistratura Democratica sezione Veneto, Giuristi Democratici sezione Padova, Beati Costruttori di Pace e la rivista “Ristretti orizzonti”, è stato anche presentato l’ottavo rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia curato da “Antigone”, associazione per i diritti e le garanzie nel sistema penale.
Il titolo del dossier, “Le prigioni malate” è emblematico: “il tasso di sovraffollamento nelle carceri italiane è altissimo, raggiunge il 152% – afferma Francesca Vianello, esponente di Antigone Veneto – Attualmente, ci sono 168.000 detenuti a fronte di 45.000 posti regolamentari: ciò significa che c’è un posto ogni tre detenuti”. Quello del sovraffollamento, comunque, è solo uno dei problemi che attanagliano il sistema penitenziario italiano: “molti detenuti, soprattutto stranieri, sono in attesa di giudizio, e quindi non hanno diritto a svolgere attività di lavoro e formazione – prosegue Vianello – La popolazione immigrata rappresenta il 36,7% del totale, ma gli istituti del nord Italia hanno percentuali molto più alte: ad esempio, la casa circondariale di Padova ha superato più volte il 90%. Il turn over è altissimo, basti pensare che il 30% dei reclusi resta in carcere al massimo per 3-4 giorni: il dato più eclatante riguarda la casa circondariale di Venezia, dove a metà novembre, il 76% dei detenuti si trovava in questa condizione. Le misure alternative sono crollate dopo l’indulto del precedente Governo: ne avrebbe diritto il 65% della popolazione carceraria, in realtà ci sono state solo 9.000 concessioni, a causa delle legge ex Cirielli sulla recidiva e di orientamenti molto restrittivi dei magistrati di sorveglianza”.
Il tema della malattia, che compare nel titolo del rapporto, allude in particolare al problema della sanità penitenziaria: “da oltre tre anni, a tal proposito, è stato approvato il passaggio di competenze dal Ministero della Giustizia a quello della Salute – spiega Daniela Ronco, curatrice del rapporto Antigone – Nel complesso, questa riforma ha portato a una violazione del diritto alla salute, che nelle carceri non viene garantito: la mancanza di personale per le scorte, ad esempio, comporta difficoltà per l’approvvigionamento dei farmaci e per la possibilità di eseguire visite esterne. Inoltre, a causa della mancanza di fondi, abbiamo registrato una riduzione delle opportunità lavorative per i detenuti, e uno scorretto utilizzo della cassa delle ammende, che spesso viene utilizzata per motivi diversi dal reinserimento, ad esempio per la costruzione di nuove strutture carcerarie”. Alvise Sbraccia, docente di Sociologia della devianza presso l’ateneo patavino, sottolinea infine quella che definisce una “sovrarappresentazione” del connubio criminalità-immigrazione: “basti considerare che gli stranieri residenti sono l’8% della popolazione italiana, mentre gli stranieri detenuti sono il 40% di quella carceraria: il tasso è di uno a cinque”.