I magistrati riconoscono l’esistenza di fatti di corruzione, truffa e tentata concussione dell’ex politico approdato ai vertici dell’Autostrada del Brennero
Una vera mazzata sulle speranze di resurrezione politica quella inflitta dalla Corte d’appello di Trento nell’ambito dell’inchiesta “Giano bifronte” che, dopo sette ore di camera di consiglio, ha per il momento spezzato l’ambizione di tornare sulla ribalta politica da protagonista di Silvano Grisenti, braccio destro (e anche sinistro) del presidente della Giunta provinciale di Trento, Lorenzo Dellai. I magistrati hanno sostanzialmente ribaltato in appello la sentenza di primo grado, accogliendo tutte le richieste dei pubblici ministeri Pasquale Profiti e Alessia Silvi, infliggendo all’ex assessore ed ex presidente dell’Autostrada del Brennero la pesante condanna ad 1 anno, 6 mesi e 10 giorni di reclusione, oltre a 5 anni di interdizione dai pubblici uffici.
Anche se la pena è per ora sospesa in attesa del ricorso scontato per Cassazione non appena saranno rese note le motivazioni della sentenza, è indubitabile che la sentenza d’appello ha spazzato via d’un colpo tutte le manovre che Grisenti aveva messo in atto già da qualche tempo per ritornare da protagonista sulla ribalta politica, confidando che l’appello cancellasse definitivamente anche la blanda condanna di primo grado a 4 mesi di reclusione convertiti in ammenda per due episodi minori di corruzione impropria. La sentenza d’appello ha ribaltato anche il giudizio sugli altri protagonisti della vicenda, come Dino Leonesi (ex alto dirigente della provincia di Trento e ex presidente dell’Istituto per sordomuti: dall’assoluzione in primo grado per turbativa d’asta alla condanna a 4 mesi) e l’imprenditore Stefano oberosler per corruzione impropria, oltre alla condanna di Autostrada del Brennero Spa e Oberosler Spa al pagamento di sanzioni, rispettivamente, di 50.000 e 10.000 euro.
In pratica, i magistrati della Corte d’appello hanno riconosciuto la fondatezza delle accuse raccolte dai pubblici ministeri, che tramite una serie di intercettazioni e di testimonianze avevano scoperto il sistema di gestione poco ortodosso dei lavori appaltati dalla società autostradale di cui Grisenti era presidente, il quale aveva favorito imprenditori a lui vicini.
Anche se bisognerà attendere ancora circa un anno per il pronunciamento definitivo della Cassazione, il mondo della politica trentina è già in subbuglio. La notizia della sentenza è piombata nel corso di una riunione sul bilancio provinciale da parte della maggioranza di centro sinistra. Da parte dei suoi (ex?) colleghi, ci si attendeva l’assoluzione di Grisenti e la condanna è stata una doccia fredda: uno dei coordinatori provinciali dell’Upt, Vittorio Fravezzi, esprime “meraviglia, stupore e dispiacere da punto di vista umano per una sentenza molto pesante, con un verdetto sostanzialmente inatteso. Attendiamo le motivazioni per capire meglio la portata della sentenza”. Sul fronte del PD (partito di maggioranza assieme all’Upt di Dellai), il segretario provinciale Michele Nicoletti si trincera dietro il “no comment”. Sorpreso per la sentenza l’assessore Franco Panizza, esponente del Patt, il terzo partito della maggioranza di centro sinistra: “una sentenza che mi stupisce alla luce dell’esito del primo grado, che era stato leggero”. Chi non fa sconti all’operato di Grisenti, condividendo sostanzialmente l’esito dell’appello, è la Lega Nord: per il presidente del Carroccio trentino Alessandro Savoi “la sentenza d’appello fa finalmente giustizia di un sistema di potere clientelare con cui il partito di Dellai e di Grisenti hanno gestito la cosa pubblica in Trentino. La sentenza certifica che la ‘magnadora’ (la famosa citazione di Grisenti rivolta ai sindaci riottosi che non volevano aderire al suo disinvolto metodo di governo, con la conseguenza che in caso di non allineamento la ‘magnadora s’alza’, rischiando conseguentemente di essere tagliati fuori dai contributi provinciali, ndr) è esistita per davvero e continua ad esserlo, che in Trentino esiste un sistema di governo paragonabile alla mafia”.