Il gruppo Fiat per il tramite del suo amministratore delegato Sergio Marchionne ha deciso l’uscita d dalla Confindustria senza ripensamenti, per “non rinunciare a essere protagonisti nello sviluppo industriale del nostro Paese” e perché un gruppo con 181 stabilimenti in trenta paesi “non può permettersi di operare in Italia in un quadro di incertezze che lo allontanano dalle condizioni esistenti in tutto il mondo industrializzato”.
Fiat ha deciso di lasciare l’associazione degli industriali per ragioni “che non sono politiche e che non hanno nessun collegamento con i nostri futuri piani di investimento”.
La notizia dell’uscita del Lingotto dalla confederazione guidata da Emma Marcegaglia non giunge inaspettata, in quanto nel recente passato più volte Marchionne aveva lanciato chiari messaggi d’insofferenza all’organizzazione imprenditoriale, già dal 30 giugno scorso, quando l’amministratore del gruppo Fiat annunciò l’intenzione di chiudere il rapporto.
La decisione presa ora avrà effetto a partire dal 31 dicembre 2011.
Da parte sua, Confindustria prima si è limitata a prendere atto della decisione “pur non condividendone le ragioni, anche sotto il profilo tecnico-giuridico”, dal momento che “lo statuto permette di rimanere associati al Sistema senza conferire delega sindacale”.
Successivamente l’intervento aspro della presidente Marcegaglia, che ha giudicato i motivi addotti da Marchionne come “infondati dal punto di vista tecnico”, sottolineando, masticando amaro, comunque di “rispettare la sua decisione, visto che stare in Confindustria non è un obbligo ma un fatto volontario”.
Nella lettera d’addio, Fiat esprime “la possibilità di collaborare, in forme da concordare, con alcune organizzazioni territoriali di Confindustria e in particolare con l’Unione Industriale di Torino”. Ma non con la Confindustria di una Marcegaglia sempre più in contrasto con l’azione del Governo.
L’addio da Confindustria non significa per Fiat cambiamenti al piano di investimenti per l’Italia che prosegue senza intoppi.
A Mirafiori dal 2013 sarà prodotto un nuovo Suv della Jeep, a Pratola Serra verrà invece assemblato un motore destinato all’Alfa Romeo.
Per il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, questa è “la vera notizia”, mentre tante aziende aderenti a Confindustria preferiscono la via della delocalizzazione.
Secondo il ministro, la decisione non pregiudica la validità dell’articolo 8 contenuto nella legge Finanziaria appena approvata dal Parlamento e che Marcegaglia con l’accordo sottoscritto con i sindacati aveva di fatto congelato nella sua efficacia innescando la reazione di Fiat: “mi sembra che al contrario se ne voglia sottolineare l’importanza”.
La decisione di Fiat di abbandonare Confindustria è stata definita “una cattiva notizia ed un rammarico per noi associati” da parte del presidente degli industriali del Veneto, Andrea Tomat, “convinto che il sistema confindustriale abbia fatto quanto possibile per venire incontro alle esigenze dell’azienda torinese e, insieme, a quelle di tutte le nostre imprese”. Tomat sottolinea come “l’impegno, sin dall’accordo del 2009, è stato quello di migliorare il sistema delle relazioni industriali riconoscendo spazi più ampi alla contrattazione aziendale, aumentando le garanzie di efficacia ed esigibilità degli accordi, assicurando i necessari margini di flessibilità. Questo impegno è stato ribadito dall’accordo interconfederale del 28 giugno – aggiunge Tomat -, ancora più dall’articolo 8 della manovra che ha dato certezza di legge all’accordo, e da ultimo dalla ratifica dello scorso 21 settembre”.
Sulla vicenda interviene anche il presidente dell’Associazione artigiani e piccole imprese del Trentino, Roberto De Laurentis, che giudica negativamente l’operato di Confindustria: “la norma voluta dal ministro Sacconi per liberalizzare in parte il mondo del lavoro è un granello di sostanziale novità in un mercato del lavoro troppo rigido ed è un peccato che un’organizzazione imprenditoriale come Confindustria sia corsa a fare un accordo con la Cgil sostanzialmente per sterilizzarlo. Un comportamento, quello della presidente Marcegaglia, che non capisco né condivido, così come non lo hanno capito e condiviso persone come Marchionne che in conseguenza di questo strano accordo ha deciso di portare il gruppo Fiat fuori da Confindustria, che così si trova privata della rappresentanza del maggior gruppo industriale italiano. E questo non sarà che l’inizio di una diaspora, visto che tanti colleghi imprenditori si chiedono ormai apertamente cosa ci stanno a fare in un sindacato che ormai li rappresenta poco o nulla”. Per il presidente degli artigiani trentini “se in Italia si vuole effettivamente fare impresa e creare nuovi posti di lavoro bisogna che tutti s’impegnino per lavorare con la dovuta flessibilità imposta dalla concorrenza internazionale e dalla domanda del mercato. In caso contrario, la crescita del Paese è destinata a stagnare ancora a lungo”.
Intanto, nonostante che la ragazza di Gazoldo degli Ippoliti minimizzi il duro colpo incassato anche a livello d’immagine, rimane il fatto che l’addio del più grande gruppo industriale dal sistema confindustriale comporterà per il sindacato imprenditoriale anche una forte contrazione delle sue entrate, dato che la quota d’iscrizione è proporzionale al numero degli addetti. Un taglio non da poco, che va ad aggiungersi ad una situazione finanziaria già poco rosea di tutto il sindacato industriale.