Mauro Minniti: chi è il nuovo presidente del Consiglio provinciale di Bolzano, con alle spalle 35 anni di attività politica, partendo dal Fronte della Gioventù per arrivare al PdL
Mauro Minniti, una vita spesa in politica (ha iniziato a farla all’età di 13 anni nel 1977 entrando nel Fronte della Gioventù), è da quattro mesi il nuovo presidente del Consiglio provinciale di Bolzano.
Un’elezione arrivata a metà legislatura, quando in provincia di Bolzano i vertici dell’assemblea legislativa provinciale s’alternano in ossequio al criterio dell’appartenenza etnica (nella prima metà della legislatura la presidenza spetta al gruppo etnico tedesco e la vicepresidenza a quello italiano; viceversa nella seconda parte). Ecco l’intervista con il nuovo presidente dell’assemblea legislativa altoatesina.
Presidente Minniti, qual’è il suo obiettivo immediato alla presidenza del Consiglio provinciale di Bolzano?
Fare funzionare bene l’istituzione del Consiglio provinciale, sia per rispetto dei cittadini che dell’istituzione stessa, facilitando il rapporto con la popolazione e la produzione di leggi attese dalla società. Può sembrare banale, ma lavorare bene e rapidamente nell’interesse di tutti è una priorità.
In Consiglio si discute spesso della lungaggini dei lavori d’aula…
La democrazia è un valore che deve essere difeso a prescindere. La discussione in Aula dei provvedimenti, rispettando il regolamento, è garantita ad ogni singolo consigliere. Certo non si può pensare che uno o due consiglieri possano bloccare l’attività del Consiglio, esagerando in forma di ostruzionismo, che deve essere sì garantita quale strumento democratico, ma non quando deborda nell’impedire qualsivoglia attività legislativa. Questo non va affatto bene, anche per rispetto alla democrazia parlamentare.
La Svp ha più volte richiesto una modifica al regolamento d’Aula per garantire tempi certi e brevi alla discussione dei disegni di legge…
Da più parti, i partiti, sia di maggioranza che di opposizione, ritengono che i lavori debbano svolgersi in modo più snello, più semplice se non veloce. Su questa impostazione sta lavorando la Commissione regolamento del Consiglio che si riunirà nuovamente a metà settembre per decidere la gestione degli ordini del giorno che possono essere presentati, su cui esiste già un’interpretazione dell’Ufficio di presidenza che ha scatenato polemiche quando è stata introdotta, ma su cui oggi c’è un accordo di massima per arrivare ad una limitazione della lunghezza degli ordini del giorno entro il massimo di 5 pagine, evitando documenti eccessivamente complessi. Questo dimostra che da entrambe le parti, maggioranza ed opposizione, si vuole arrivare ad una migliore regolamentazione dei lavori, rispettando però i diritti di ciascuna parte.
Spesso i documenti votati ed approvati dal Consiglio, specie se sono di espressione della minoranza, rimangono nel limbo…
Non è sempre così. Talvolta ci vuole un po’ di tempo perché dal voto d’aula si giunga alla reale applicazione dell’impegno da parte della Giunta provinciale, ma non si tratta certamente di cattiva volontà da parte dell’esecutivo provinciale, almeno per quanto mi consta.
Come si lavora in un’Assemblea suddivisa in tre distinti gruppi etnici, a loro volta rappresentati da specifici partiti?
Si lavora bene, se si usa l’intelligenza. Io faccio politica dall’età di 13 anni, dal 1977. Sono entrato attivamente nelle istituzioni dopo l’elezione in consiglio comunale di Bolzano nel 1989; nel 1994 sono entrato in Consiglio provinciale e oggi sono l’esponente italiano con maggiore anzianità politica in Consiglio. Quando ho iniziato a fare politica i rapporti tra i vari gruppi linguistici erano molto più duri, con maggiore contrapposizione anche tra i vari partiti, tra destra e sinistra, italiani e tedeschi. Imparando a conoscere le persone, conosci le culture e i diversi punti di vista. In questo modo, si possono verificare scontri politici durante le discussioni, ma sempre rispettando la persona e le posizioni politiche dell’avversario.
Il prossimo anno, lei compie 35 anni di attività politica. In questo periodo com’è cambiata la politica in Alto Adige?
Si è evoluta moltissimo, anche per quanto mi riguarda. Io fin dall’inizio ho militato in un partito politico, il Movimento Sociale Italiano, che non riconosceva l’autonomia speciale di questa terra. L’MSI era stato l’unico partito a non votare l’autonomia. Oggi ci troviamo con il primo presidente del Consiglio provinciale di centro destra, che proviene dal MSI. Per certi aspetti, c’è stata anche un’involuzione della politica: prima chi faceva politica aveva rispetto dell’avversario e delle sue posizioni politiche. Oggi in diversi fanno politica solo per il proprio consenso elettorale, senza pensare veramente a costruire qualche cosa di utile per tutta la comunità che rappresentano.
In questo frangente si riattizzano anche le discussioni tra gruppi etnici…
Non più di tanto. Oggi il problema non è più la competizione tra vari gruppi politici, ma all’interno degli stessi, dove ci possono anche essere degli estremismi, che vanno alla ricerca di un determinato consenso elettorale senza il quale questi non sarebbero eletti o rappresentati in Consiglio.
Veniamo ad un tema di stretta attualità: i costi della politica. Come si vive in Alto Adige questo argomento, visto che i costi a carico dei cittadini sono superiori ad altre realtà?
Si dice di tutto e di più, con i giornali che fanno a gara a sparare cifre clamorose, spesso prive di fondamento. C’è sì l’esigenza di ridurre il costo della politica locale, agendo su tutti i livelli, dalle indennità dei componenti del Consiglio e della Giunta provinciale, a quello delle varie istituzioni locali. Bisogna agire anche sui vari benefit di cui godono gli esponenti del Consiglio e della Giunta. La volontà di tutti è di procedere a tagli, ma è sbagliato pensare che solo il mondo della provincia debba fare sacrifici: credo che si debba agire anche sugli altri livelli istituzionali, dai comuni alle comunità montane.
Cosa pensa di legare l’indennità di mandato politico alla media di quanto si è dichiarato nelle ultime dichiarazioni dei redditi, anche per avvicinare alla politica coloro che svolgono funzioni ad alto livello di responsabilità e di reddito, che facendo politica ci rimetterebbero economicamente?
Già oggi a livello comunale il gettone di presenza funge da ristorno simbolico dell’impegno profuso. Personalmente non mi esprimo, se non riaffermando la necessità di arrivare ad una rideterminazione verso il basso delle indennità oggi godute dalla politica a tutti i livelli dove questa viene esercitata.
Questo potrebbe passare anche attraverso la cancellazione o la tassazione della diaria (circa 3.000 euro al mese) oggi esentasse, dato che un consigliere provinciale per l’esercizio del suo mandato non ha certamente da sopportare spese di soggiorno lontano dalla sua residenza, come nel caso di un deputato o un senatore al Parlamento?
Credo che la via più percorribile sarebbe fare rientrare la diaria all’interno dell’indennità e sottoporla alla stessa tassazione. Ma anche la sua abolizione potrebbe essere uno scenario. Spetta al Consiglio decidere sul da farsi, in stretta collaborazione con i colleghi della provincia di Trento, visto che il tema dell’indennità è di competenza del Consiglio regionale formato dalle due assemblee legislative provinciali in seduta congiunta, anche se ci sarà sempre qualcuno che non sarà mai contento dell’entità dei tagli.
Lei ha citato il Consiglio provinciale di Trento, che costa decisamente di più di quello di Bolzano. Come mai questa vistosa differenza?
Dipende dal diverso assetto istituzionale dei gruppi consiliari in ciascun Consiglio provinciale. A Bolzano, ogni singolo consigliere deve arrangiarsi nella gestione del proprio lavoro anche a livello di gruppo utilizzando a tal fine una somma messa a disposizione dal Consiglio, variabile in rapporto all’entità numerica del gruppo consiliare. A Trento c’è una struttura organizzativa messa a disposizione dei singoli consiglieri da parte del Consiglio provinciale, con personale e spazi attrezzati specifici. Il che ha dei costi notevoli che ricadono su tutti i cittadini. Se a Trento l’organizzazione dei consiglieri provinciali è forse anche eccessiva, a Bolzano la situazione è decisamente all’opposto, con una realtà cristallizzata al 1996. Probabilmente, a Bolzano si dovrebbe dare ai rappresentanti eletti dal popolo qualche risorsa in più, mentre a Trento si potrebbe tranquillamente tagliare qualcosa. Una soluzione potrebbe essere quella di delegare la messa a disposizione delle strutture al Consiglio regionale, in modo da avere un trattamento uguale per tutti i consiglieri eletti a Trento e a Bolzano.
E’ giustificabile che il presidente della provincia di Bolzano abbia un trattamento economico di gran lunga superiore a quello di un capo di stato di nazioni ben più grandi e popolose dell’Alto Adige?
Non voglio entrare in queste diatribe. Sicuramente il lavoro che svolge il governatore Durnwalder è massacrante, visto che lui è quello che apre gli uffici dell’amministrazione provinciale alle sei di mattina per ascoltare le istanze dei cittadini senza alcun appuntamento e che alle 9 o 10 di sera o è ancora in ufficio o in giro per le valli ad incontrare la popolazione ed istituzioni locali. A livello pratico, il governatore altoatesino prende una maggiorazione del 90% rispetto all’indennità base di consigliere provinciale, mentre quello trentino si ferma al 50%, comportando così un costo maggiore in Alto Adige.
Che futuro può avere l’ente Regione in mezzo a due province sempre più ricche di competenze e di risorse economiche?
Nel 2004 lanciai al mio partito una provocazione, consistente nel fatto che forse bisogna iniziare a valutare approfonditamente se tenere in piedi l’ente Regione, oggi ridotta ad una scatola vuota, o lavorare su due istituzioni provinciali totalmente autonome trasformate in altrettante regioni. Alcuni mi criticarono pesantemente, altri erano d’accordo. Comunque, un ragionamento sulla Regione deve essere fatto perché così com’è essa è un’istituzione che comporta solo un’enormità di costi per i contribuenti. O la si riempie di contenuti o la si chiude.
C’è chi dice che la Regione è fondamentale per garantire l’autonomia speciale al Trentino, altrimenti a rischio di annessione al Veneto…
Non questo rischio non è più attuale, visto che la specialità del Trentino ha una sua storia e una sua giustificazione. Oggi i pericoli evidenziati a suo tempo da Degasperi non esistono più. Anche in Alto Adige, una volta gli italiani vedevano nella Regione l’unico ancoraggio per essere legati allo Stato italiano, mentre oggi ci si identifica tutti nel ruolo della provincia di Bolzano.
La Regione avrebbe senso per gestire servizi pubblici comuni alle due province per avere adeguate dimensioni di scala?
Potrebbe essere uno scenario condivisibile, sia per il campo dei trasporti o per il coordinamento delle politiche sanitarie. Non bisogna mai dimenticare che la regione Trentino Alto Adige ha poco più di un milione di abitanti e che tanti servizi pubblici gestiti su scala minore non sono efficienti. Bisogna essere pragmatici e guardare ai risultati, per evitare i doppioni tra Trento e Bolzano come spesso è accaduto.
Ha ancora senso il patentino di bilinguismo e la proporzionale etnica in Alto Adige?
La proporzionale sicuramente sì, specie per il gruppo italiano, perché in caso contrario in certi ambienti della Provincia si assisterebbe ad una presenza esclusivamente monoetnica tedesca. Il patentino di bilinguismo ha svolto un ruolo di apripista al multilinguismo oggi incoraggiato anche dall’Unione Europea per tutti gli stati, con un futuro dove conoscere il solo italiano e tedesco non sarà più sufficiente.