Il gelato è sempre più di moda in Italia, in Europa e nel mondo e il Belpaese si conferma leader indiscusso nella tecnologia e per il lancio di nuove tendenze di gusto, anche se a prevalere sono ancora i grandi classici.
L’estate gelatiera 2018 sarà all’insegna del sostenibile e salutista, raffinato ai fiori edibili e tradizionale con materie prime a denominazione garantita, gastronomico e reso spumoso dal sifone. Sarà l’estate del gelato 4.0 che coniuga alta qualità, tecnologia e (più che) un pizzico d’ingegno.
Nel 2016, l’Italia ha per la prima volta ottenuto il primato produttivo continentale. E nel 2017 ha migliorato ulteriormente la sua performance. Complice una stagione calda più secca e più lunga della norma, che ha fatto esplodere i consumi, la produzione di gelato italiano è stimata in crescita del 10/12% da una indagine del Centro studi Cn ian collaborazione con Cna Agroalimentare condotta tra gl’iscritti alla Confederazione.
In complesso, il 2017 dovrebbe archiviare una produzione italiana superiore ai 660 milioni di litri contro il precedente record di 595 milioni del 2016, il 19% del totale europeo. Per intendersi, l’equivalente ogni giorno di un treno con 60 container a bordo.
Dietro l’Italia, secondo l’Eurostat, nell’ordine si erano piazzate Germania (515 milioni), Francia (454 milioni), Spagna (301 milioni) e Polonia (264 milioni). Per rendere l’idea della performance, fino al 2010 il nostro Paese era quarto, alle spalle di Germania, Francia e Regno Unito. Poi per quattro anni è stato secondo e infine il primato, strappato ai produttori tedeschi appunto nel 2016.
Il mercato mondiale del gelato attualmente vale 15 miliardi di euro, secondo l’Osservatorio Sigep, con un tasso di crescita annuo del 4%. Quello europeo – fonte Unioncamere – si ferma a nove miliardi con 150.000 addetti. Il mercato italiano vale due miliardi con circa 40.000 addetti: la produzione è per un terzo industriale, per due terzi artigianale. Il giro d’affari del gelato artigianale si situa, quindi, intorno al miliardo e mezzo con circa 30.000 addetti. Quanto ai consumi, nel 2017 in Italia ogni adulto avrebbe mangiato tra i 6,5 e i sette chilogrammi di gelato. Un dato, però, sicuramente influenzato dai forti consumi di turisti stranieri.
Sul fronte dell’export, invece, l’Italia perde colpi. Sempre secondo l’Eurostat, nel 2016 le esportazioni italiane del settore si sono fermate a 223 milioni, praticamente la stessa cifra del 2010, segnando un calo di valore superiore al 16%. Viceversa, la Germania ha esportato gelati per 401 milioni, la Francia per 398 milioni, il Belgio per 350. Numeri che a qualche osservatore hanno fatto paventare per il gelato lo stesso percorso di una strada purtroppo già battuta da pizza ed espresso. Prodotti italiani di eccellenza riconosciuta, talmente globalizzati da perdere la connotazione originaria sui mercati mondiali, divenuti spesso appannaggio di anonime industrie con sede a migliaia di chilometri dalla Penisola.
La Camera di commercio di Milano, elaborando i dati del Registro delle imprese 2016, ha incoronato Roma regina del gelato con 1.400 attività e 4.200 addetti. A completare la “top ten”, nella classifica per attività seguono Napoli (933), Milano (783), Torino (732), Salerno (529), Bari, Brescia, Palermo, Venezia e Catania. Nella graduatoria per addetti primeggiano Milano (2.960), Napoli (2.494), Firenze (2.450), Torino (2.443), Bari, Salerno, Venezia, Brescia e Palermo.
L’internazionalizzazione del gelato italiano segue le strade dell’avventura prima e dell’emigrazione di massa poi. Fuori dal nostro Paese arrivò per primo a Parigi nella seconda metà del Seicento, portato da Francesco Procopio de’ Coltelli (il cui vero cognome sarebbe stato però Cutò), un siciliano che conosceva la tradizione del sorbetto di derivazione romana e araba realizzato con le nevi dell’Etna, dei Nebrodi, delle Madonie. Nella capitale francese fondò nel 1686 il primo caffè, Le Procope, dove si servivano anche sorbetti gelato, oggi trasformato in ristorante. Artigiani italiani hanno aperto gelaterie praticamente in tutte le principali città del mondo. A New York, nel 1770 a fondare la prima gelateria fu il genovese Giovanni Bosio che divenne famoso proponendo “la pànera”, una prelibatezza a base di panna e caffè diffusa tra le famiglie benestanti del capoluogo ligure, che oltre Atlantico divenne la base dell’ice cream. E italiani erano quanti hanno portato con sé le tecniche per un buon gelato quale unica ricchezza per procacciarsi da vivere. I bellunesi della Val di Zoldo, terra di gelatieri, che hanno “colonizzato” la Germania fin dalla seconda metà dell’Ottocento. Ancora oggi molte gelaterie tedesche, che di italiano non hanno nulla, continuano a inalberare il nome “Venezia” all’ingresso. Una piccole epopea raccontata l’anno scorso da una mostra di successo “Gelato!”. In italiano e con il punto esclamativo.
Attualmente, accanto ai singoli punti vendita di altissima qualità artigianale e alle mini catene in aree territorialmente contigue, il sistema del franchising è quello preferito per espandersi sui mercati più promettenti: l’Europa e l’Asia.
La tendenza sempre più spiccata a un consumo sostenibile e salutista sta orientando anche la gelateria. A partire dagli ingredienti, naturali e bio, il trend coinvolge tutta la catena produttiva, cui si chiede un impatto ambientale sempre più basso, fino al confezionamento, che deve tendere al massimo della biodegradabilità. Si vanno sempre più diffondendo gelaterie a “km0” con prodotti del territorio. Il Rapporto VeganOk rivela che l’offerta di gelati vegani quest’anno dovrebbe crescere del 28% sul 2017. Oltre la metà degli italiani si dichiara interessato a gelati privi di latte e derivati, senza glutine, ipocalorici. E si diffonde lo stecco che si può mangiare (di cioccolato, a esempio) anziché in legno o in plastica.
I gusti più richiesti sembrano immutati e immutabili. Secondo l’indagine condotta dal Centro studi Cna in collaborazione con Cna Agroalimentare la classifica delle richieste vede in testa il cioccolato, seguito da nocciola, limone, pistacchio e crema. A fare la differenza con il passato sono gli ingredienti. Il cioccolato si preferisce di origine fondente con spiccata preferenza per il 70%. La nocciola è rigorosamente di qualità riconosciuta: piemontesi, laziali, campane in testa a tutte. Il limone è meglio se Igp di Amalfi o comunque italiano. Il pistacchio arriva da Bronte ma anche da Iran e Afghanistan e non ha niente a che vedere con certi prodotti indecifrabili color verde fosforescente un tempo (e talvolta pure oggi) spacciati come gelato al pistacchio. E la crema non può fare a meno di uova da galline all’aria aperta e magari, nella versione zabajone, di marsala d’annata. Quanto alle nuove tendenze, quest’anno dovrebbero primeggiare i fiori edibili: gelsomino, begonia, bocca di lupo, calendula, agerato. Quindi si avanza il ficodindia. Seguono i dolci classici riproposti in forma di gelato: dal salame al cioccolato alla pastiera napoletana. Un misto di classico e innovativo, come il cioccolato fondente irrorato da salse: alla fragola quella la più gettonata. E poi la liquirizia calabrese e i frutti tropicali, che sempre più si coltivano anche in Italia.
Le nuove tendenze in cucina (e soprattutto nell’alimentazione fuori casa) stanno allargando il panorama della gelateria. Che, da un lato, sconfina nella gastronomia di gamma alta. Dall’altro approfitta del boom del bere miscelato. Non c’è cuoco stellato che non presenti nei propri menu il gelato sotto forma di ingrediente salato: ostrica e ricci di mare, gorgonzola e pesto genovese la scelta è ampia. E anche il classico sorbetto spezza pasto è riproposto in forma inedita: al cetriolo o alla carota. Nel mondo dei cocktail il gelato è presentato piuttosto sotto forma di granita, trasformato in cubetto da inserire nei cocktail classici o di ultima generazione: è il caso del sorbetto “fragola e peperone rosso” incluso nel Bloody Mary, a base di vodka e succo di pomodoro.
Da comparsa, il cono è diventato un imperdibile comprimario del gelato. Tra stampati e arrotolati, al cioccolato e alla granella di nocciola, a cestino o a conchiglia, più o meno grandi (tra i dieci e i venti centimetri), l’offerta è molto ampia. Lo scopo è quello di contribuire, tramite coni fantasiosi, alla diffusione dei gelati e alla diversificazione dell’offerta. Non più semplice sostegno ma autentico prodotto autonomo.
Anche il cono è una invenzione italiana. Sia pure ideata e realizzata a New York. Per lo strascico giudiziario, la sua vicenda ricorda l’invenzione del telefono. Con una differenza: nel caso del cono entrambi i litiganti per il riconoscimento della primogenitura erano italiani. E cugini. Si chiamavano Italo e Frank Marchioni. A brevettare il cono nel 1903 fu Italo. Mentre i due parenti italiani si contendevano l’invenzione in tribunale, un anno dopo a St. Louis, dove si tenevano contemporaneamente Olimpiadi e Fiera Mondiale, esplose la moda del cono. Con buona pace dei litiganti. Con il passare degli anni, anzi, l’invenzione fu attribuita a varie altre persone ma senza nessun reale fondamento e con ricorrenti contestazioni. Nel ’54 The New York Times riconobbe a Italo Marchioni la primogenitura eppure, paradossalmente, a giugno 2013 lo stesso quotidiano ha riproposto la leggenda della nascita quasi casuale a St. Louis.